Inflazione, da chimera a mannaia
Per l’economista Wade (Schroders) è prematuro iniziare a preoccuparsi di un risveglio fuori controllo dell’inflazione che possa alterare le attuali politiche delle banche centrali
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Le politiche monetarie e fiscali messe in campo dalle maggiori economie stanno spingendo verso l’alto le aspettative d’inflazione. Per ora le banche centrali sembrano assecondare tale movimento e la maggior parte degli investitori vede un probabile rialzo dei prezzi, soprattutto negli Usa, a partire dalla seconda metà di quest’anno.
D’altra parte i mercati azionari statunitensi hanno raggiunto i massimi storici nelle scorse settimane, con la volatilità che continua a diminuire, il petrolio Wti vicino ai 60 dollari al barile, e con le aspettative crescenti di un altro massiccio pacchetto di stimoli da parte della nuova amministrazione statunitense. Insomma, un ritorno dell’inflazione, forse non spaventosa di per sé, ma certamente pericolosa se collegata al tapering o all’aumento dei tassi di interesse, potrebbe davvero diventare realtà. E per molti gestori è dunque consigliabile adottare alcuni accorgimenti per difendere i portafogli da questa eventualità.
“Nei prossimi mesi le pressioni inflazionistiche potrebbero aumentare significativamente e riteniamo realistico un aumento dei prezzi al consumo del 3% circa nel breve termine, almeno negli Usa. In Europa, l’apprezzamento dell’euro sul dollaro favorirà l’importazione di beni a basso costo, pertanto l’aumento sarà decisamente più moderato”, afferma Volker Schmidt, senior portfolio manager di Ethenea Independent Investors. Per l’esperto tra i segnali di un aumento dei prezzi al consumo spicca il recupero del petrolio, il ripristino delle aliquote Iva tagliate nel 2020 da parte di alcuni Paesi, e la carbon tax. A cui ovviamente si aggiunge la spinta generata dall’orientamento espansivo della politica fiscale e monetaria, in particolare quella targata Joe Biden.
Stessa visione per Marco Oprandi, head of cross asset solutions di Cirdan Capital, secondo cui qualora il maxi pacchetto di stimoli del neo presidente Usa fosse varato, l’inflazione americana potrebbe accelerare entro la fine del 2021. “Secondo le nostre stime – chiarisce -, la Fed potrebbe continuare ad avere difficoltà nel gestire la stabilità del livello dell’inflazione sia per 2021 che per il 2022, soprattutto perché stimiamo una forte crescita annualizzata attorno all’11% nel secondo trimestre del 2021 e del 6% complessivo per l’anno in corso. Prevediamo dunque il seguente scenario dal punto di vista inflazionistico: nei futuri sei mesi, il livello di inflazione potrebbe rimanere costante al 2% solamente per gli effetti base della ripresa economica; in seguito, man mano che ci avviciniamo al 2022, dovremmo aspettarci livelli elevati ma anche fluttuanti d’inflazione (3%), accompagnati da un potenziale innalzamento dei tassi d’interesse”.
Più cauto Andrew Lake, head of fixed income di Mirabaud Am. “A nostro avviso – sostiene – è troppo presto anche solo per avere un dibattito sull’inflazione e sull’aumento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti o altrove. È probabile che si inizi ad assistere a riaperture graduali nella maggior parte del mondo sviluppato nel corso delle prossime settimane, man mano che la campagna di vaccinazione prende ritmo. La spinta economica che tutti ci aspettiamo, guidata da tassi di risparmio molto alti, sarà in qualche modo compensata da alti livelli di debito, disoccupazione, e quindi limitata pressione salariale”. Questa lista non è esclusiva, secondo l’esperto, e il dibattito acquisterà più forza quando ci dirigeremo verso la seconda metà del 2021 e inizierà una fase di maggior normalizzazione.
Insomma, la tesi prevalente è che ci troviamo in una fase di quiete prima della tempesta. Ma come proteggere i portafogli in uno scenario simile? Il primo e più ovvio strumento per chi investe in obbligazioni, secondo Paolo Mauri Brusa, gestore del team multi asset Italia di Gam (Italia) Sgr, è quello di convertire una parte delle emissioni governative ‘nominali’ in quelle ‘inflation linked’. “Se restiamo sulle curve euro – spiega -, il carry che se ne ricava sarà molto ridotto, ma al momento l’inflazione implicita nei prezzi resta contenuta (nell’intorno del 1%). Un’alternativa interessante per un investitore un po’ più sofisticato può essere rappresentata dalle emissioni in valute legate alle materie prime, come Corona Norvegese o Dollaro Australiano. Essendo correlate positivamente al ciclo economico, non sono certo un buon diversificatore nelle fasi di mercato orso, ma in un contesto di graduale aumento dell’inflazione tendono a rafforzarsi”.
Passando alla componente azionaria, anche in questo caso secondo Mauri Brusa andranno privilegiati i settori ciclici: energetici, materie di base e finanziari, che beneficeranno dell’aumento dei prezzi delle materie prime e delle aspettative di rialzo dei tassi d’interesse. “Per chi ne ha la possibilità – aggiunge -, ovviamente l’investimento in strumenti legati alle commodity (petrolio, metalli industriali e preziosi) consente di incorporare nel portafoglio una componente fondamentale dell’inflazione”.
Infine il Real Estate, che però nel medio termine ha un legame con la crescita dei prezzi più incerto: “Da un lato l’inflazione viene incorporata nei prezzi degli immobili – conclude -; dall’altro, però, la traiettoria dei tassi d’interesse al rialzo tende a deprimere il mercato immobiliare sul lungo periodo, incidendo sulle capacità di finanziamento degli acquirenti e rendendo i rendimenti da locazione meno competitivi rispetto a quello delle obbligazioni, per loro natura molto più liquide”.
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