Le ombre cinesi non spaventano i gestori
Tra rallentamento della crescita e stretta normativa, Pechino sta creando allarme sui mercati. Ma per gli addetti ai lavori non è il momento di scappare: meglio essere selettivi
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La lunga marcia di Xi Jinping verso la ‘prosperità comune’ non spaventa gli investitori, anzi. Più Pechino va avanti, più i mercati cominciano a vederci chiaro e a capire come muoversi al di là delle tempeste momentanee. E così la Cina è tornata prepotentemente nei portafogli degli investitori global, dai quali, in verità, non è mai uscita. E ha tutte le caratteristiche per ritagliarsi uno spazio ancora più grande via via che prenderà forma il cambiamento annunciato e perseguito senza esclusione di colpi dal governo. Certo, raccomandano molti gestori, è il caso di fare selezione ed evitare i settori che verranno maggiormente colpiti dalle nuove regole, ma in Cina i fondamentali sono solidi, la crescita prosegue e per molte aziende il futuro si preannuncia radioso.
Che i professionisti dei mercati non sia siano lasciati spaventare da Evergrande e altri annunci di Pechino lo dimostrano i numeri. Secondo il sondaggio “China Position 2021” di Invesco, l’86% degli investitori globali ha aumentato o mantenuto invariata l’allocazione della propria organizzazione agli investimenti cinesi negli scorsi 12 mesi e il 64% prevedere ulteriori incrementi nei prossimi 12 mesi, mentre appena il 12% ha in programma una riduzione. La survey, condotta su 200 proprietari di asset in Nord America, Asia Pacifico, Europa e Medio Oriente, rivela anche che la maggioranza (60%) prevede che nei prossimi 12 mesi le condizioni economiche in Cina saranno migliori rispetto a quelle globali.
Insomma, sebbene la pandemia abbia trasformato il comportamento economico e i mercati finanziari, non sembra aver modificato la visione strategica degli investitori di investire in Cina o dove identificare le opportunità: oltre la metà degli intervistati (54%) ritiene che il Covid abbia aumentato la loro propensione al rischio rispetto all’esposizione cinese.
Mentre non spaventano più di tanto le tensioni con gli Usa (l’80% degli intervistati afferma che il perdurare di questa dinamica ha esercitato un’influenza da moderata a significativa sulla propensione ad aumentare i livelli di esposizione cinese), per quanto riguarda le recenti riforme governative la soglia del dolore degli investitori sembra addirittura più alta. E lo dimostrano le asset class preferite.
Le azioni cinesi onshore rimangono l’asset class più popolare per la maggior parte degli intervistati (il 52%), seguite dal mercato obbligazionario onshore (51%) e dalle azioni offshore, comprese le azioni H e i titoli Adr cinesi quotati negli Stati Uniti (50%). Le asset class illiquide rimangono al centro dell’attenzione dato l’attuale contesto di tassi bassi per il mercato obbligazionario e la persistente volatilità dei mercati azionari, tendenza che si riflette negli investimenti in Cina degli intervistati. Il settore immobiliare (40%), la proprietà diretta di società (39%) e altri mercati alternativi (38%) sono le tre principali asset class nelle quali gli intervistati prevedono di aumentare le allocazioni nei prossimi 12 mesi. Sebbene quasi due quinti degli intervistati (37%) dichiarino di prevedere un aumento della propria allocazione in azioni cinesi onshore, si è registrato un calo rispetto al 2019 (52%).
Sebbene le recenti riforme normative introdotte in Cina abbiano reso volatile il settore tecnologico, il sondaggio rileva che gli investitori globali continuano ad allocare in questo segmento. “Innovazione tecnologica” (49%) e “Servizi finanziari” (44%) rimangono i principali temi di investimento, in linea con i risultati del sondaggio del 2019, insieme a un interesse per “Sanità” (27%) e “Consumo interno” (26%). Per quanto riguarda il settore della tecnologia, i proprietari di asset mondiali stanno rivolgendo la propria attenzione alle opportunità offerte dall’intelligenza artificiale o dalla correlata automazione digitale (39%), alla rete 5G (32%) e ai servizi online per consumatori o B2B (31%). In Europa, le tre opportunità principali identificate sono il 5G (45,5%), la tecnologia blockchain (33,39%) e l’intelligenza artificiale o la correlata automazione digitale (24,2%).
Anche gli investimenti Esg esercitano una crescente influenza sull’esposizione cinese: il 62% degli intervistati dichiara di adottare sistematicamente o regolarmente questo tipo di selezione nella propria esposizione cinese, mentre due terzi (66%) dichiarano di aver accresciuto la propria esposizione cinese grazie agli obiettivi Esg.
“La Cina rappresenta da tempo una delle economie digitali più sofisticate a livello mondiale e il Paese non intende affatto rinunciare alla propria ambizione di avanzare ulteriormente in questo segmento – Chin Ping Chia, head of business strategy and development China A Investments di Invesco -. Prevediamo che il recente inasprimento del controllo normativo sarà promotore di una concorrenza sana e maggiormente sostenibile all’interno del settore internet, e questo dovrebbe avviare la Cina verso il raggiungimento di uno degli obiettivi chiave delineati nel 14° piano quinquennale: trasformarsi in una potenza dell’innovazione. Con il continuo rafforzamento dell’influenza della Cina sull’economia globale, gli investitori a lungo termine sono destinati a trarre i migliori profitti con un’esposizione adeguata negli asset cinesi legati ai temi della nuova economia”.
L’obiettivo della ‘prosperità comune’, insomma, continuerà a modellare rischi e opportunità della Cina. Come sottolineano Vanessa Zhao e Shichen Zhao, rispettivamente senior equity analyst in emerging markets e graduate analyst di Candriam, la priorità politica di Pechino si sta gradualmente spostando dal tasso di crescita economica alla qualità e alla sostenibilità della crescita economica stessa. “Con lo sviluppo delle politiche di prosperità comune, i rischi normativi e le opportunità si evolveranno in tutti i settori. Prevediamo che la prosperità comune e gli altri obiettivi politici a lungo termine della Cina premieranno un’approfondita ricerca sui fondamentali”, affermano.
In particolare, la decarbonizzazione e l’autosufficienza tecnologica avanzata costituiscono per Pechino importanti obiettivi politici a lungo termine. “Privilegiamo i settori che beneficiano del supporto delle policy, come le nuove energie, le tecnologie verdi, i nuovi materiali, la produzione avanzata e i semiconduttori – precisano -. Siamo attenti ai rischi crescenti nei settori che hanno normative più rigide o poco chiare o altre incertezze, come il settore immobiliare e dell’istruzione, nonché incertezze sulla sicurezza dei dati e sull’antitrust nel settore Internet”.
I due esperti Candriam restano invece selettivi nel settore sanitario. “Per i sottosettori sanitari soggetti all’approvvigionamento basato sul volume, così come per la chirurgia estetica e l’assistenza sanitaria digitale, ci aspettiamo una maggiore regolamentazione – chiariscono -. Prevediamo che si presenteranno migliori opportunità nella ricerca medica di alto livello, nei farmaci innovativi, nelle biotecnologie e nell’assistenza agli anziani”.
Per quanto riguarda il reddito fisso, secondo Kunal Mehta, senior fixed income product specialist di Vanguard Europe, un’analisi fondamentale rigorosa e la selezione dei titoli sono la chiave per ottenere rendimenti interessanti nell’investment-grade asiatico visti gli spread spesso ridotti. “I gravi problemi di Evergrande in Cina, la società di sviluppo immobiliare più indebitata al mondo e una delle più presenti all’interno degli indici obbligazionari che tracciano il mercato obbligazionario asiatico denominato in dollari, potrebbero dare l’impressione che tutti gli investimenti a reddito fisso nella regione siano high yield e ad alto rischio – spiega -. In realtà, la maggior parte delle obbligazioni emesse su questo mercato sono di elevata qualità creditizia, con circa l’85% di questo universo, che complessivamente vale 860 miliardi di dollari ed è in rapida crescita, rappresentato da titoli investment-grade”.
Certo, i rischi non mancano, ma secondo Mehta le obbligazioni asiatiche Ig denominate in dollari, specialmente quelle corporate, possono fornire una diversificazione e un profilo rischio-rendimento interessanti. “La ricerca Vanguard – prosegue – suggerisce che le obbligazioni Ig dell’Asia-Pacifico sono in genere più solide e mostrano livelli di volatilità inferiori rispetto ad altre aree dei mercati emergenti. In parte, ciò è probabilmente dovuto ai governi politicamente più stabili della regione, in grado di attuare politiche macroeconomiche a lungo termine, garantendo una maggiore crescita del Pil e un minore debito pubblico e privato”.
“Mentre il segmento investment-grade dei mercati obbligazionari dell’Asia-Pacifico è ampio e variegato, il segmento high-yield è più concentrato e dominato da società immobiliari cinesi – conclude -. Molte di queste hanno valutazioni relativamente meno costose, ma sono spesso gravate da problematiche complesse. A nostro avviso, tali rischi sono più elevati che mai nel contesto attuale, poiché la Cina sta mettendo in atto la propria agenda di riforme finanziarie, comprese le misure per tenere sotto controllo il mercato immobiliare, facendo nascere molte incognite per gli investitori. Mentre la Cina continua a ridurre il proprio debito e a dare priorità alla qualità piuttosto che al volume della sua crescita, crediamo che un approccio cauto sia ragionevole”.
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