Usa, l’inflazione vola e detta l’agenda a Powell
A gennaio i prezzi sono schizzati del 7,5%, oltre le attese e al top dal 1982. Per i mercati la Fed è pronta a tagliare i tassi a marzo e a svuotare il bilancio
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Sette rialzi, uno per ogni riunione dell’anno. Dopo gli ultimi dati su inflazione e mercato del lavoro, anche la previsione di qualche settimana fa che la Federal Reserve potesse procedere a quattro ritocchi dei tassi Usa nel 2022 appare ormai fuori contesto. Gli investitori si dividono ora tra chi scommette su un rialzo progressivo di un quarto di punto ad ogni appuntamento di politica monetaria da qui a dicembre, sette appunto, e chi invece punta su ritocchi più consistenti, di 50 pb.
A rinvigorire la visione di un Powell più aggressivo che mai è stato l’indice dei prezzi di gennaio, che ha toccato il top degli ultimi 40 anni al 7,5%, ben oltre il consenso di mercato. Dato che ha fatto schizzare il rendimento dei Treasury Usa a due anni, che ha registrato l’impennata più consistente a livello quotidiano dal 2009 superando la soglia psicologica del 2%, e ha provocato un ulteriore appiattimento della curva a lungo termine. Insomma, il mercato sta comprando Tbond a 30 anni e vendendo quelli a breve, facendo chiaramente capire che si aspetta un rallentamento della crescita e misure più aggressive della banca centrale Usa in ottica anti inflazione.
Come se non bastasse, il presidente della Federal Reserve di St. Louis, il super falco James Bullard, non ha perso l’occasione per buttare benzina sul fuoco, spiegando di essere a favore di un aumento dei tassi per un intero punto percentuale entro l’inizio di luglio. Azione che si tradurrebbe in un ritocco da 50 pb a marzo e successivi due rialzi di 25 pb a maggio e giugno.
“Il mercato attualmente prezza almeno 5 rialzi nell’anno e assume sempre più forza l’ipotesi di un primo ritocco da 50 punti base (adesso dato con un 40% di probabilità), anche se storicamente ci sono pochi precedenti”, osserva Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di Gam (Italia) Sgr, che punta l’attenzione sul fatto che anche nel segmento dei corporate bond si è assistito ad un repentino aumento degli spread, abbastanza normale visto il sentiment di mercato.
“Non è passato, però, inosservato il forte deflusso dalle obbligazioni high yield che da inizio anno negli Stati Uniti sono stati superiori ai 7 miliardi di dollari. Come ben sanno i veterani di Wall Street, quando il mercato si avvicina ad una fase ‘orso’ il credito è il primo a muoversi, una sorta di leading indicator per i gestori azionari”, mette in guardia il gestore, secondo cui il timore è che le aziende altamente indebitate che finora sono riuscite a finanziarsi a tassi stracciati possano andare in difficoltà a causa del marcato rialzo dei rendimenti, magari accompagnato dal rallentamento economico. E la conseguenza è che gli emittenti più fragili sono i primi ad essere venduti.
Insomma, per Mauri Brusa è in atto un repricing di tutti quei segmenti le cui valutazioni si fondano su un’ipotetica crescita futura. E il rischio è che anche il resto del mercato possa seguire la stessa strada se la leva monetaria non viene gestita accuratamente. “La riunione di marzo della Fed rappresenta uno spartiacque fondamentale non solo per i listini, ma anche per la ripresa economica – avverte -. Se come molti pensano, le pressioni inflazionistiche sono destinate a rientrare nella seconda parte dell’anno per poi normalizzarsi nel 2023, una stretta monetaria eccessiva rischia di far deragliare i mercati con forti ricadute sul risparmio privato e sulla solidità dei bilanci delle società”.
Anche per Tiffany Wilding, economista esperta di America Settentrionale di Pimco, il dato sui prezzi di gennaio rafforza la probabilità che Powell e colleghi optino per una stratta di 50 punti base a marzo, e infatti, coerentemente, il mercato prezza una probabilità del 50%. “Tuttavia – precisa -, continuiamo a pensare che la Fed preferirebbe un aumento sequenziale ad ogni riunione, invece di un aggiustamento più brusco. Inoltre, se i dati delle carte di credito che usiamo per prevedere le vendite al dettaglio si rivelano giusti, la combinazione dei dati dell’Cpi e delle vendite al dettaglio suggerisce che la capacità di passare oltre ulteriori aggiustamenti dei prezzi potrebbe andare scemando. Ciononostante, questo dato preoccupa sicuramente la Fed e rende difficile per loro respingere quanto scontato dal mercato”.
Per gli analisti di Goldma Sachs tutto dipenderà dai falchi: se altri dovessero unirsi alla linea di Bullard, allora un ritocco più consistente a marzo diventerebbe probabile. Per ora però gli analisti della banca Usa, così come i colleghi di Bank of America, hanno cambiato le loro previsioni e parlano di sette rialzi. “Stiamo rivedendo al rialzo le nostre stime su quanto farà la Fed, per includere sette strette monetarie consecutive di 25 pb, in ognuna delle riunioni del Fomc successive del 2022 – si legge nella nota -. Continuiamo a prevedere che il Fomc alzi i tassi altre tre volte di 1/4 di punto percentuale tra il primo e il terzo trimestre del 2023, fino a raggiungere il tasso terminale del 2,5%-2,75%, in anticipo”.
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