Perché Evergrande non è la Lehman cinese
Per i gestori il rischio finanziario di un default è limitato e quello economico è gestibile dalle autorità politiche e monetarie. Sui mercati, occhio alla volatilità e alle possibili occasioni
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Sale ogni giorno di più la temperatura intorno al caso Evergrande, con il titolo che ha chiuso l’ultima seduta della settimana in calo dell’11,6% a 2,36 dollari locali dopo che il giorno prima, giovedì 23 settembre, non ha onorato la scadenza di una cedola sul debito offshore da 84 milioni di dollari. Il peggio, insomma, si avvicina, anche se tecnicamente il default viene dichiarato 30 giorni dopo il mancato pagamento.
Sulla vicenda che sta togliendo il sonno agli investitori globali è intervenuta anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, che ha tentato di placare l’agitazione sottolineando che i rischi per l’Eurozona sono comunque limitati. “Stiamo monitorando”, ha assicurato, ma “in Europa e nell’area dell’euro in particolare, l’esposizione diretta sarebbe limitata”. “Oggi ho avuto un briefing perché penso che tutti i mercati finanziari siano interconnessi. Ho ricordi molto vividi degli ultimi sviluppi del mercato azionario in Cina che hanno avuto un impatto in tutto il mondo”, ha spiegato Lagarde.
Sui mercati è opinione maggioritaria che un’eventuale bancarotta del secondo operatore immobiliare cinese non avrebbe un effetto alla Lehman. Non un rischio sistemico, insomma, ma un campanello d’allarme in un mondo eccessivamente indebitato. “La portata di un evento di ristrutturazione di tale entità sta gravando sui mercati del credito asiatici, con prezzi in discesa per le obbligazioni di altre società del settore immobiliare (una parte importante del segmento high yield)”, spiegano Pascal Blanqué e Vincent Mortier, rispettivamente group chief investment officer e deputy group chief investment officer di Amundi.
Per i due esperti, infatti, valutando questo evento in un contesto più ampio, l’effetto contagio sui mercati globali è stato finora limitato, con una certa volatilità delle azioni (l’indice VIX ha raggiunto il 20 settembre 2021 un massimo infragiornaliero di 28,8) e un modesto ritracciamento dai massimi storici (l’S&P 500 è in calo del 2%). L’allerta però resta. “Evergrande è un campanello d’allarme per gli investitori e un avvertimento nei confronti dei settori ad alta leva nel sistema, con valutazioni stratosferiche. In futuro, è probabile che vengano allo scoperto altre problematiche relative all’indebitamento, che richiederanno ulteriore attenzione nella selezione del credito in tutti i settori di attività”, affermano Blanqué e Mortier.
Le implicazioni sulla crescita sono infatti rilevanti secondo Amundi. “l rallentamento dell’edilizia residenziale è uno dei fattori negativi alla base del downgrade delle nostre previsioni sul Pil della Cina – chiariscono -. L’attività nel settore si sta raffreddando rapidamente e la pressione sulla liquidità rimarrà elevata se non si verificheranno cambiamenti di politica. Più in generale, i dati al ribasso sull’attività della Cina hanno ampiamente sorpreso nel terzo trimestre, con le esportazioni che rappresentano l’unica eccezione”.
L’inasprimento delle politiche, le restrizioni autoimposte e la carenza globale di chip hanno contribuito al rallentamento. “Non ci aspettiamo più che la crescita riprenda nel quarto trimestre del 2021. Prevediamo una crescita media del Pil reale dell’8,3% nel 2021, inferiore rispetto all’8,7% precedente, e una crescita nel 2022 che si attesterà sul 4,9% rispetto al 5,4% precedente – affermano i due esperti. Ciò che è ancora difficile da quantificare è una previsione sui consumi, dato che la domanda è stagnante e la riduzione della leva finanziaria è in corso. Il rallentamento della Cina rispetto ai suoi principali partner commerciali dovrebbe essere monitorato con attenzione”.
Come si traduce tutto questo per gli investitori? Certamente in una maggiore volatilità sui mercati globali nei prossimi mesi, ma non solo dalla Cina. Secondo Blanqué e Mortier, ci sono infatti altre fonti di incertezza: i negoziati in corso sul tetto del debito statunitense e l’impennata dei prezzi dell’energia in Europa. E il tutto sta avvenendo proprio quando i mercati finanziari sono stretti in termini di valutazioni.
“Riteniamo pertanto che sia giunto il momento di essere neutrali in termini di allocazione del rischio e di aumentare il controllo su quelle aree che potrebbero essere colpite da ricadute (ad esempio, obbligazioni high yield asiatiche, prezzi delle materie prime legate all’edilizia) – concludono -. In generale, nonostante la percezione del rischio sulla Cina rimanga elevata nel breve periodo, rimaniamo costruttivi sugli asset cinesi nel lungo periodo per motivi strutturali (il riequilibrio della crescita attraverso la domanda interna, una crescita nei settori strategici, l’internazionalizzazione del renminbi e la sua influenza a livello mondiale)”.
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