Cina, la cura inizia a funzionare ma i dati restano deboli
"Alcuni indicatori appaiono incoraggianti, ma il quadro attuale si presenta ancora sotto pressione”. L’analisi di Raiffeisen Capital Management
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L’ultimo episodio del conflitto commerciale Usa-Cina è iniziato venerdì scorso, con una serie di annunci, ritorsioni, tweet e aperture. Inevitabilmente tutto questo rumore ha creato una certa agitazione nei mercati finanziari. Sebbene rimanga difficile valutare ogni singolo sviluppo del conflitto commerciale, secondo Maarten-Jan Bakkum, senior emerging markets strategist di NN Investment Partners, a questo punto si possono trarre alcune importanti conclusioni.
La prima, per l’esperto, è che l’amministrazione Trump è determinata nel cercare di spingere i cinesi a fare delle concessioni. La strategia aggressiva degli Stati Uniti testimonia che il rischio di escalation rimane elevato. Secondo, il presidente Trump vuole preservare l’idea che il suo desiderio di un accordo sia reale, e questo probabilmente spiega perché domenica e lunedì ha improvvisamente ammorbidito il suo tono. Infine, il governo cinese non ha smesso di essere pragmatico, ma ha chiaramente scelto di essere più assertivo. Ciò si riflette nelle tariffe di ritorsione e negli sforzi per attenuare l’impatto negativo delle misure protezionistiche statunitensi sul settore delle esportazioni attraverso un deprezzamento valutario più consistente e tramite un rafforzamento dell’economia domestica grazie ad un altro allentamento fiscale. “La scorsa settimana, abbiamo visto ulteriori prove nell’aumento della quota di emissioni obbligazionarie del governo cinese per i governi locali e nella prevista riduzione del coefficiente di fabbisogno di capitale per i progetti infrastrutturali. Questo dovrebbe consentire alle imprese che investono in infrastrutture di ottenere più prestiti dalle banche”, aggiunge Bakkum.
Lo strategist si aspetta ora uno scenario di estesa escalation. “Mentre c’è ancora spazio per un ottimismo di breve durata, è probabile che il trend rimanga negativo – avverte -. In questo scenario, la fiducia delle imprese e gli investimenti in tutto il mondo industriale rimarranno probabilmente sotto la pressione dell’incertezza. L’economia cinese sente chiaramente la pressione del protezionismo statunitense. Tuttavia, l’impatto netto sul suo tasso di crescita sarà probabilmente notevolmente inferiore a quello della maggior parte dei suoi pari all’interno del comparto emergente”. La previsione è dunque di un rallentamento al 6,3% quest’anno, dal 6,6% del 2018. “Per il 2020 prevediamo un rallentamento del 6,0% – aggiunge -. Il modesto rallentamento si spiega con il continuo impegno del governo cinese a stimolare la domanda interna in misura sufficiente da compensare la maggior parte dei venti contrari esterni. Mentre ci aspettiamo che lo stimolo monetario rimanga prudente per non compromettere i progressi compiuti nella campagna di riduzione della leva finanziaria degli ultimi anni, vediamo chiare prove di una maggiore azione politica sul fronte fiscale. I nuovi investimenti pubblici si concentrano sulle infrastrutture urbane”.
Quanto al recente deprezzamento del renminbi, secondo Bakkum è la prova di un governo cinese più assertivo ed è una delle principali fonti di incertezza per i mercati finanziari. Il renminbi è stato mantenuto artificialmente forte per anni, soprattutto per evitare grandi deflussi di capitali. Il settore delle esportazioni non aveva davvero bisogno di una valuta più competitiva. Ora, le tariffe americane e l’incertezza commerciale hanno esercitato una tale pressione sul settore delle esportazioni che il governo ha deciso di lasciare che la valuta si indebolisca. Finora il deprezzamento è stato modesto (5% rispetto al paniere ponderato dal mese di maggio), ma il semplice fatto che il renminbi si stia muovendo in risposta all’azione protezionistica dell’amministrazione Trump crea maggiore incertezza.
“Per il momento, è improbabile che le autorità cinesi permettano forti movimenti valutari – conclude lo strategist -. Dopo tutto, i flussi netti di capitali sono ancora negativi e non sono stati dimenticati gli eventi del 2015-16, quando il sistema finanziario cinese è stato messo sotto pressione a causa della fuga di capitali. Ma in uno scenario di intensa escalation del conflitto commerciale, il renminbi rischia di indebolirsi ulteriormente. Finché ciò avverrà, è probabile che anche le valute EM si indeboliscano e questo continuerà ad influire sulla propensione al rischio degli investitori per tutte le asset class EM”.