Brexit, anche nell’incertezza si può trovare valore nell’equity
La debolezza della sterlina favorisce i titoli delle multinazionali del Ftse 100, mentre in caso di accordo o permanenza nella Ue sarebbe il Ftse 250 a trarre i maggiori benefici
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Il 24 giugno 2016 gli elettori del Regno Unito votarono in maggioranza per abbandonare l’Unione Europea al termine di un lungo e drammatico scontro politico che ha lacerato la nazione per anni. Quel giorno segnò l’inizio della tumultuosa avventura della Brexit. E’ interessante e utile esaminare il comportamento dei mercati britannici nei tre anni trascorsi dal referendum, secondo Jean-François Jolivalt, multi asset fund manager di La Française AM.
Ma prima è utile ripercorrere brevemente la storia recente post-referendum. Nel luglio 2016, Theresa May divenne la seconda donna primo ministro della storia britannica, con il preciso mandato politico di negoziare con Bruxelles e avviare il processo giuridico di uscita dall’Ue. Il 29 marzo 2017 fu formalmente attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che regola la materia, segnando così l’inizio di un periodo di due anni, al termine del quale il Paese avrebbe ufficialmente cessato di fare parte dell’Unione. Dopo mesi di trattative, il governo britannico e i negoziatori della Ue raggiunsero un accordo che avrebbe dovuto spianare la strada a un divorzio relativamente semplice. Tuttavia Theresa May non è mai riuscita a fare approvare l’accordo in Parlamento. Alla fine, la deadline è stata prorogata fino al 31 ottobre 2019. Il 24 maggio scorso la May ha annunciato le proprie dimissioni dalla guida del governo, dopo avere perso il supporto del suo stesso partito a causa della sua incapacità di condurre a buon fine la Brexit. Al momento sembra probabile che alla carica di premier possa esser chiamato una figura pro-Brexit, Boris Johnson.
“Innanzitutto la sterlina si è fortemente deprezzata rispetto alle valute dei maggiori partner commerciali del Regno Unito. Dopo aver raggiunto il massimo decennale di £0,7 per un euro durante la maggior parte del 2015, la divisa britannica è precipitata a £0,85 per un euro poco dopo l’annuncio della Brexit (valore al 6 luglio 2016). Da allora, ha scambiato in una forchetta compresa fra £0,85 per un euro e £0,92 per un euro”.
A questo proposito, Jolivalt sottolinea che ogni volta che il caos politico si intensifica, la sterlina si avvicina al limite superiore di questa forchetta. “Lo stesso vale per il cambio rispetto al dollaro Usa. Il pound si è deprezzato a 1,26 dollari (valore al 10 giugno 2019): un valore non distante dal minimo storico degli ultimi 40 anni. Nel breve termine, l’outlook rimane poco chiaro ma non vi è dubbio che una hard Brexit implicherebbe una caduta assai brusca della sterlina”.
I mercati azionari mostrano invece una traiettoria differente. “Il Ftse 100, principale benchmark azionario britannico, è prossimo al suo massimo storico – prosegue l’esperto -. Le azioni di società britanniche votate all’export, come quelle attive nel settore delle risorse naturali, hanno spinto in alto il listino mentre le aziende più esposte al mercato interno sono più in sofferenza. I titoli britannici stanno scambiando sulla base di uno dei rapporti forward p/e più bassi rispetto a quelli dei principali Paesi sviluppati e offrono rendimenti da dividendo anch’essi fra i più alti”.
Tutto questo potrebbe garantire un certo aiuto al mercato nel caso di una hard Brexit, secondo Jolivalt. Che conclude: “Sul fronte dei tassi, la Bank of England, divisa fra un’economia relativamente forte e l’evolvere del processo di uscita dalla Ue, ha mantenuto un tono neutrale. Ad ogni modo, il Gilt decennale ha seguito l’inedito rally globale e ha raggiunto il minimo storico di 0,81% nei primi giorni di giugno 2019”.