Asset management, perché i social media sono (ancora) terra di conquista
9 ottobre 2017
di Eugenio Montesano
7min 30”
Come cambia la comunicazione degli asset manager nell’era dei social media? Focus Risparmio propone un’analisi dei numeri, delle strategie e delle tendenze dell’incrocio tra social network e gestione di fondi con una serie di tre articoli che mettono a confronto i principali protagonisti del settore
Nella prima puntata, alcune tra le principali agenzie italiane di relazioni pubbliche in ambito finanziario riflettono sullo stato dell’arte della comunicazione economica in tempo reale, sulle ragioni della ritrosia di gran parte delle case prodotto nel costruire una solida impronta “social” e sulle strategie per un corretto accesso dei marchi finanziari alle piattaforme più diffuse.
I social media stanno rivoluzionando il settore dei servizi finanziari consentendo una comunicazione su scala globale, potenziando il servizio alla clientela, promuovendo strategie di marketing e persino creando nuovi prodotti e servizi da offrire ai clienti. Essendo parte integrante della vita quotidiana, i social e la tecnologia possono permettere alle società finanziarie di superare i vincoli geografici e raggiungere clienti in tutto il mondo e a un livello più personale tramite piattaforme di comunicazione in tempo reale.
Uno sguardo ai numeri di utilizzo dei social network è sufficiente a delinearne la pervasività: a oggi sono 328 milioni gli utenti attivi su Twitter e 500 quelli su LinkedIn (rilevazioni ad aprile 2017, ndr). Con due miliardi di utenti attivi mensilmente, Facebook surclassa entrambi di gran lunga. Statistiche impressionanti anche per YouTube, con oltre 30 milioni di visitatori al giorno.
Numeri destinati ad aumentare nel tempo di pari passo all’affermazione dei millennial, la popolazione nata tra il 1980 e il 2000 e corrispondente a circa 1,8 miliardi di persone nel mondo secondo il database internazionale del Census degli Stati Uniti. Entro il 2020 i millennial rappresenteranno circa il 50% della forza lavoro globale e secondo un sondaggio condotto dalle società di consulenza strategica Caceis e PwC per l’edizione 2016 del report “Asset Management in the social era”, il 62% dei millennial ritiene che la fidelizzazione al brand sia agevolata da un impegno costante sulle reti social. In aggiunta, il 33% dichiara di basarsi principalmente su siti di settore e blog per le decisioni di acquisto, mentre meno del 3% spiega di affidarsi a TV, riviste e libri.
Con numeri come questi, non sorprende che società appartenenti a ogni tipo di settore e industria siano impegnate a sviluppare strategie per indirizzare il marketing sui social network. Ma che dire dei servizi finanziari? Che lavoro fanno le società di asset management quando si tratta di utilizzare queste piattaforme come canale di comunicazione ai clienti?
PRESENZA DELLE SOCIETÀ “FORTUNE 500” SULLE PRINCIPALI PIATTAFORME DI SOCIAL MEDIA
Fonte: Caceis e PwC, Asset Management in the social era 2016
I player del settore si trovano quindi ad affrontare sfide importanti, tipiche di un’industria in cui la posta in gioco è assai alta. Tra questi, i principali problemi si pongono in ambito di compliance, restrizioni normative e rischi per la sensibilità e la sicurezza dei dati e delle informazioni.
Queste sfide, tuttavia, non dovrebbero impedire alle case di investimento di implementare strategie per l’utilizzo dei social per comunicare con gli stakeholder, anzi. Questo perché, per loro stessa natura, i social hanno la capacità di favorire la circolazione delle informazioni, con tutti i pro – e i contro – che ne derivano, qualora si rinunciasse a partecipare al discorso perdendo il controllo del brand. Eppure, per le sgr quello dell’informazione economico-finanziaria con i social network continua a essere un rapporto se non ambiguo, quantomeno poco strutturato.
“A conti fatti, quando andiamo a verificare la presenza degli asset manager sui social network, notiamo che siamo a livelli embrionali”, constata Marco Messori, fondatore della società di pubbliche relazioni Mymediarelation, che di recente ha condotto una ricerca sullo stato dell’arte della comunicazione social per l’industria del risparmio gestito, i cui risultati mostrano che il numero delle società che si sono affacciate ai social con almeno un profilo attivo è pari a un quarto del totale.
“Su un campione di poco più di 100 asset manager, il risultato che abbiamo riscontrato è che tre società su quattro non usano i social media”, spiega Messori, che riflette sul lavoro svolto in tal senso dal Salone del Risparmio.
“Assogestioni è di grande stimolo all’utilizzo dei social media. In occasione delle ultime due edizioni del Salone, l’Associazione ha cercato di spingere le sgr a utilizzare i canali social”, racconta Messori. “Qualche timida reazione c’è stata. Alcuni asset manager si sono attivati: parte di questi hanno proseguito il percorso evolutivo, altri – dopo una timida perlustrazione – si sono fermati”.
La strada da compiere è ancora lunga, insomma, eppure per i gestori avere un’impronta social per connettersi con clienti e altri player del mercato è di fondamentale importanza.
“I social network sono parte integrante della nostra vita, non solo privata ma anche professionale. Prescindere da essi significa, in parte, ignorare il mondo nel quale viviamo e nel quale tutti i player del mercato si muovono”, osservano Paolo Monti e Daniela Mase, soci fondatori di Eos Comunica.
Social sì, social no
Bisogna esserci, dunque, ma senza snaturarsi. “Questo vale soprattutto per il risparmio gestito, settore statisticamente restio alla comunicazione social”, proseguono Monti e Mase. “Spesso i gestori, ma anche realtà di altri settori, hanno paura di portare avanti una strategia di social media marketing perché pensano di ‘esporsi troppo’, incorrendo in critiche e opinioni di, ad esempio, consumatori poco soddisfatti”.
Un punto, questo, su cui si sofferma anche Roberto Patriarca, partner di Community Group, che spiega: “Stiamo assistendo ad un interesse verso i social ancora molto cauto da parte degli asset manager, e ritengo questo un fattore positivo, dal momento che tiene nella giusta considerazione la brand equity costruita nel passato. Utilizzare i social come un ‘nice to have’ da implementare in modo poco strutturato potrebbe infatti generare un impatto anche molto negativo sulla reputazione”.
Allo stesso tempo, infilare la testa sotto la sabbia non rappresenta tuttavia una strategia efficiente: il fiume carsico dei social non si ferma ed è per questo che vanno conosciuti e usati.
“Anche se non si è presenti sui social, c’è sicuramente qualcuno che sta parlando di quell’azienda”, spiegano da Eos Comunica. “Esserci con una strategia può aiutare a definire la propria presenza online e aumentare reputazione e percepito verso il proprio target. L’ago della bilancia è avere una strategia di comunicazione precisa e una netiquette di utilizzo molto chiara. Senza di esse, il rischio di commettere errori è molto elevato”.
Anche secondo Claudio Cosetti, partner dell’agenzia di relazioni pubbliche Barabino & Partners, non dotarsi di una strategia social per non rischiare passi falsi a livello comunicativo può costituire un approccio troppo guardingo.
“La brand equity – il valore del brand costruito negli anni – rischia di essere intaccato costantemente e da qualsiasi attività di comunicazione si porti avanti”, afferma Cosetti. “Non è che siccome gli strumenti cambiano, e magari sono meno conosciuti, allora li evitiamo per aggirare un problema. Oggi le notizie le leggiamo su Twitter e Facebook e ci informiamo con le app. C’è un potenziale di comunicazione che è di attualità – non succederà tra dieci anni, è qui adesso”.
Allo stesso tempo è giusto prestare attenzione perché i social network sono uno strumento ancora nuovo per determinate industrie, che va quindi utilizzato in modo appropriato. In particolare, secondo Cosetti per mettere in piedi una politica di comunicazione social che sia davvero efficace occorre dotarsi di un team di persone che abbiano esperienza con quello specifico linguaggio. Un investimento in capitale umano, insomma.
“È indubbio che i social siano uno strumento sul quale c’è ancora molta ritrosia”, concede Cosetti. “Sicuramente l’aspetto della compliance, della necessità di controllare i processi e gestire correttamente anche questo canale rimane centrale. Spesso nelle case prodotto il team di marketing ha competenze più tradizionali, orientate all’asset management: sono bravissimi a fare attività sui prodotti, organizzare eventi, parlare in modo tradizionale agli intermediari. Per i social servono però le persone giuste, dotate di competenze specifiche”.
Asset management e social media: chi sono gli interlocutori?
Parlando a Focus Risparmio, Patriarca sottolinea poi come quella dei social media “non sia una moda passeggera. I social si sono rivelati un canale di comunicazione straordinario in tutti i settori, e questo include ovviamente l’asset management”, seppur in prospettiva.
“È chiaro che in questo settore, più che in altri, è necessario avere un approccio estremamente disciplinato, che permetta di utilizzare il canale in modo efficace e consapevole, avendo ben chiari obiettivi, audience e linguaggio”, precisa il partner di Community Group.
Proprio Cosetti si sofferma sui primi destinatari della comunicazione finanziaria in tempo reale. “Il grande valore dei social network applicati agli asset manager è quello di lavorare soprattutto in termini di contenuti”, spiega. “Parlare direttamente al cliente finale è un percorso complesso che allo stesso tempo offre poco valore aggiunto”.
Secondo il partner di Barabino, l’obiettivo a cui dovranno puntare gli asset manager in Italia non sarà tanto quello di rivolgersi al grande pubblico dei sottoscrittori di fondi. “Piuttosto, le sgr dovranno lavorare sui social network per comunicare con gli intermediari, fornendo contenuti, analisi e notizie alla rete distributiva, ai promotori, ai private banker, e agli specialisti del settore, compresi i media e i giornalisti, supportandoli nel lavoro quotidiano. Questa strategia può davvero offrire valore aggiunto, soprattutto per le case di investimento che, magari, hanno meno budget rispetto alle altre per investire su attività di comunicazione e pubblicità”.
Tante piattaforme, altrettante strategie
I canali, come abbiamo visto, sono molteplici. Non tutti però si attagliano al meglio alle esigenze dei gestori. “Bisogna esserci ma con cautela, esporsi ma non troppo, essere istituzionali ma non troppo distanti”, è l’analisi di Monti e Mase, che propongono una breve carrellata dei principali social. “Twitter ha mantenuto queste caratteristiche e resta IL social network dove poter costruire un’accurata strategia di comunicazione aziendale, anche grazie a un contatto molto diretto con giornalisti e media”, affermano.
“LinkedIn, nonostante stia cambiando pelle grazie alla possibilità di postare contenuti audio video e condividere commenti, resta un social di network professionale: utilizzarlo con un fine diverso potrebbe risultare controproducente. Le showcase e le pagine aziendali permettono tuttavia di aggiornare in modo immediato una rete professionale molto ben circoscritta, un valore aggiunto indiscutibile da non sottovalutare.
“Facebook rimane il social network che in Italia registra il maggior numero di iscritti. Benché utilizzato maggiormente per scopi personali, i gestori possono trovare spazio per raccontare, ad esempio, i propri road show, la propria partecipazione a eventi come il Salone e fare educazione finanziaria senza limiti di caratteri”.
Leggermente diversa l’analisi di Cosetti, che basandosi sui dati di utilizzo dei diversi strumenti a livello globale, afferma in merito al potenziale delle diverse piattaforme: “Per le caratteristiche che ha, LinkedIn rimane il più interessante tra i social network anche per i nostri clienti. Twitter lo diventerà sempre di più alla luce dell’allungamento dei caratteri, finora percepito come un vincolo forse troppo stringente, anche se rimane molto targetizzato sul mondo degli opinion leader, dei giornalisti e di chi fa informazione e legge il mercato, e meno sul lato degli intermediari. Facebook viene invece utilizzato maggiormente per iniziative specifiche” e meno ai fini di una comunicazione quotidiana e costante.
In conclusione, gli esperti italiani della comunicazione finanziaria concordano nell’affermare che non esistono social network giusti o sbagliati. La sfida, per ciascuna società, è quella di trovare gli strumenti che meglio si adattano alla proprie strategie di comunicazione.
“Sono molti gli ostacoli che devono essere superati, ma gli spazi per giocare un ruolo importante ci sono”, afferma Marco Messori. “Conoscendo da vicino le logiche che governano le sgr, so bene che ci sono molte aree di criticità e di resistenza che meritano attenzione. Sono convinto che attraverso un confronto costruttivo con le varie funzioni interne di controllo (legale, compliance, ecc.) si possano compiere importanti passi in avanti, limitando al minimo o addirittura azzerando il rischio reputazionale e/o di inefficienza, cogliendo invece tutte le opportunità che può offrire una comunicazione sempre più circolare”.
L’inchiesta di Focus Risparmio continuerà con una seconda puntata dello speciale, che sarà dedicata agli asset manager con le interviste di alcune delle case di gestione più attive sui canali social. L’approfondimento si concluderà con un articolo conclusivo contenente interviste ad accademici, tecnici ed esperti della comunicazione sociale in ambito finanziario.
Nel terzo episodio della nostra serie di articoli di analisi su come la rivoluzione dei social media sta mutando la comunicazione finanziaria, esperti di comunicazione e analisti di mercato tirano le somme sull’utilizzo dei canali digitali da parte di Sgr e consulenti
Nel secondo episodio della nostra serie di articoli di analisi su come la rivoluzione dei social media sta mutando la comunicazione finanziaria, i responsabili del marketing e della comunicazione di alcune tra le principali Sgr italiane e internazionali più attive sui canali della comunicazione istantanea raccontano le proprie strategie e analizzano le principali criticità da superare.
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