Homo communicans, l’evoluzione del consulente in chiave ‘social’
26 ottobre 2017
di Eugenio Montesano
9 min
Nel terzo episodio della nostra serie di articoli di analisi su come la rivoluzione dei social media sta mutando la comunicazione finanziaria, accademici e esperti di mercato tirano le somme sull’utilizzo dei canali digitali da parte di Sgr e consulenti
“Non si può non comunicare”. È il principio, tanto semplice quanto basilare, che nel 1967 Paul Watzlawick e gli studiosi del Mental Research Institute di Palo Alto in California definirono come il primo assioma della comunicazione umana: questo perché ogni comportamento, di qualunque genere, veicola un messaggio, un’informazione, o più precisamente una comunicazione. E dato che non è possibile assumere un non-comportamento, non è neanche possibile non comunicare.
Il corollario che ne consegue, per il professionista finanziario di oggi, è che nell’epoca della democratizzazione della comunicazione capire e vivere i social media è diventato un imperativo, prima ancora che un’opportunità.
Allo stesso tempo padroneggiare i nuovi strumenti è un processo tutt’altro che scontato o banale. Da tempo stiamo vivendo una ‘rivoluzione digitale’, un cambiamento profondo nel nostro modo di agire e di pensare dovuto all’incidenza sempre più massiccia di tecnologie che “facilitano la conoscenza, la possibilità di inclusione e l’accesso alle informazioni e al tempo stesso rendono comuni forme di esperienza in cui il tempo diviene disarticolato, puntiforme, scollegato, esploso”.
L’analisi è del professore ordinario di Filosofia morale ed Etica della comunicazione all’Università di Pisa Adriano Fabris, che in un pamphlet del 2015 dal titolo «Il tempo esploso – Filosofia e comunicazione nell’epoca di Twitter» invita il lettore a ripensare il ruolo e le modalità della comunicazione di fronte alla pervasività (e all’ineludibilità) delle tecnologie digitali. “L’azione umana si trasforma in una vera e propria interazione con l’agire tecnologico”, scrive Fabris. “Ci troviamo immersi in una situazione inedita, che non può essere affrontata adeguatamente riferendosi alle categorie di progresso e regresso”.
“Rispettare” il canale evitando forzature d’uso
È un dato di fatto che in una logica di comunicazione, marketing e costruzione della brand reputation il mondo dei social media applicato al settore finanziario e al risparmio gestito offra enormi potenzialità: tanto in teoria quanto nella prassi, i social media sono in breve tempo diventati uno strumento fondamentale per connettere tra loro le comunità dei professionisti del risparmio. Ma raggiungere efficacemente i clienti-risparmiatori richiede uno sforzo in più: quello di usare questi strumenti seguendone le logiche d’uso intrinseche, senza la pretesa di imporre dall’alto le proprie esperienze pregresse. Le convinzioni granitiche in tema di comunicazione vanno insomma demolite a favore di un approccio innovativo.
“Le Sgr dovrebbero imparare a usare meglio i social: non in sostituzione degli attuali canali di comunicazione con i distributori, ma in aggiunta e per rafforzare le modalità di comunicazione e contatto più efficaci come gli incontri sul territorio, i road show, e gli eventi periodici come il Salone del Risparmio”, afferma Nicola Ronchetti, business director di GfK Eurisko e membro del global finance team di GfK, multinazionale di ricerche di mercato nel settore finanziario.
“C’è però un altro avvertimento fondamentale: essere sui social network non significa usare gli stessi codici di comunicazione usati negli altri canali. Sui social diventano fondamentali la sintesi, l’efficacia comunicativa e la capacità di attrarre l’attenzione in poche parole, con un video o un’immagine accattivante”, precisa Ronchetti, la cui esperienza a stretto contatto con asset manager e consulenti finanziari gli permette di identificare con precisione i passi che questi soggetti finanziari devono muovere per migliorare e potenziare la propria strategia social.
“Altri due suggerimenti alle Sgr: anzitutto, stare sui social network non significa replicare i contenuti presenti sui propri siti commerciali creando una inutile duplicazione, ma proporre contenuti che lavorino sulla propria brand reputation rafforzando l’immagine di produttore di contenuti/soluzione e non solo di venditore di prodotti; in secondo luogo i social network – più di qualsiasi altro canale di comunicazione – sono dinamici e vanno alimentati di continuo, monitorando quello che succede nei mercati e cogliendo e commentando la notizia prima e meglio degli altri”. Secondo l’esperto, in pochissimi si stanno muovendo seguendo questi principi.
“Il tema principale che riguarda i social media ruota attorno alla necessità di usarli in maniera corretta”, concorda Guido Di Fraia, professore associato alla Libera università di lingue e comunicazione IULM e autore del volume Social Media Marketing: Manuale di comunicazione aziendale 2.0 edito da Hoepli. “È questo il grosso limite che ancora si registra in Italia soprattutto da parte delle piccole medie imprese e dei liberi professionisti. Sono ancora canali rispetto ai quali, nonostante le linee guida che dovrebbero essere seguite per un uso corretto siano ormai sedimentate, spesso le aziende dimostrano di mancare delle competenze minime per usarli in maniera strategica ed efficace”.
Questi canali dovrebbero essere parte normale dell’attività di comunicazione e marketing di qualsiasi tipo di attività, e in parte già lo sono. L’Osservatorio social media IULM monitora 720 aziende in cinque industrie e testimonia una crescita di uso e di penetrazione in termini numerici per queste piattaforme. Spiega Di Fraia: “Quello che vediamo è che c’è una crescita significativa in termini di penetrazione d’uso. Si è capito che questi canali vanno usati da parte delle imprese, soprattutto del settore finanziario. I grandi player delle banche nazionali, ad esempio, hanno performato molto bene su questi canali sin dalla prima ora, trasformandoli non sono in canali di comunicazione unidirezionale ma anche in strumenti di relazione e customer care”.
Più che sulla quantità, è la qualità di uso “ancora bassa e insufficiente” sulla quale bisogna lavorare secondo Di Fraia. Questo perché, contrariamente all’impressione comune, i social sono canali complicati da usare. Seppur vero che per aprire una pagina Facebook ci vuole un attimo, presidiarla in maniera corretta o usarla con finalità di advertising è un’attività complessa, per cui c’è bisogno di competenze specifiche che non si acquisiscono in breve tempo. “I social network afferiscono a un paradigma comunicativo differente”, sottolinea l’accademico. “Vanno approcciati come dei canali che si affiancano a quelli tradizionali, ma che richiedono diversi linguaggi, stili comunicativi e caratteristiche distintive nell’approccio alla comunicazione. Bisogna mettersi nei panni dell’utente finale, domandandosi: ‘cosa ci vengono a fare sul mio profilo o sulla mia pagina?’. Questa è una buona base di partenza per capire come questi strumenti possono integrare i sistemi tradizionali in modo proficuo”.
Social & finanza, odi et amo
Spesso, alla base del rapporto ambivalente che molte società hanno con l’universo social, c’è la preoccupazione sulla parziale cessione del controllo della reputazione che può far seguito all’apertura al commento e alle critiche da parte di chiunque abbia a disposizione un computer o uno smartphone. “La paura dell’apertura e della trasparenza è trasversale a tutte le industrie”, osserva Di Fraia. “Ma è una visione miope, perché se pure un’azienda decide di non presidiare ufficialmente i canali social, di certo non può impedire agli utenti di quei canali di parlarne. Non essere sui social vuol dire comunicare che, per qualsivoglia motivo, forse per paura, non si vuole essere su questi canali. Ma non significa tenersene al riparo, quindi è un atteggiamento doppiamente sbagliato. E le persone si fidano sempre di più dei commenti tra pari di quanto ormai non facciano delle pubblicità, delle note informative o delle parole rassicuranti dei consulenti. Rinunciare a curare la presenza sui social network per paura di perdere la reputazione a causa dei commenti altrui è una mistificazione del modello di funzionamento di questi ambienti, vuol dire arroccarsi in una logica protettiva, che però non lo è per niente”.
Ma la posta in gioco – il potenziamento e l’estensione della propria interfaccia ecosociale e transpersonale – è ben più alta. “La reputation si gioca prima sui social e poi nella vita reale. È questo il vero paradigma”, afferma Michele Ficara Manganelli, fondatore di Assodigitale – Associazione Italiana Industria Digitale, esperto di social media ed editoria digitale. “Oggi più che mai, la social reputation È la reputation. Punto. Non è più una semplice area da presidiare: si è sostituita totalmente alla brand reputation, inglobandola. È ancora più credibile della conoscenza personale, che arriva dopo. Un professionista del risparmio può raggiungere qualche centinaio di persone nel mondo fisico. Il suo profilo social ne può raggiungere migliaia”.
“I social danno ai singoli professionisti un’opportunità impensabile fino a pochissimi anni fa, quella di costruirsi un proprio personal brand ed una reputazione”, conviene Ronchetti. “Bisogna però evitare che servano solo per appagare l’ego e l’edonismo che è in ogni essere umano, e in misura a volte ipertrofica negli operatori della finanza. In altri termini, il rischio è l’eccessiva autoreferenzialità e la mancanza di contenuti o, peggio ancora, l’uso dei social solo per motivi personali e non per valorizzare la propria passione”. E se prestare un servizio di financial advisory di qualità è già di per sé complesso, “erogarlo tramite i social lo è ancora di più, perché bisogna saperlo fare in modo efficace e sintetico, e sappiamo che a volte la sintesi è dote rara soprattutto per chi ha poco da dire”, ribadisce il business director di GfK Eurisko.
Consulenti, attenti all’«effetto Streisand»
Una buona presenza sui social dipende tanto dai contenuti che si propongono quanto dalla percezione della società o della persona che si cela dietro lo schermo, insomma. Con un equilibrio, in termini di brand reputation, difficile da raggiungere: può apparire controintuitivo, eppure bisogna diffidare anche nel caso in cui l’immagine social di un professionista appaia del tutto incontaminata. “Internet esiste da 25 anni, è difficilissimo avere un profilo immacolato senza qualcuno che dica che quel tale è un incapace, o che con una persona non ci sono mai stati problemi. Se è così, vuol probabilmente dire che la persona o l’azienda hanno ‘ripulito’ il profilo” spiega Ficara Manganelli, che sconsiglia operazioni di rimozione o oscuramento in quanto, a suo avviso, possono essere assolutamente controproducenti. “Più cancello, più la cosa rischia di diventare importante”, prosegue l’esperto, secondo cui nascondere la polvere sotto il tappeto espone al rischio di subire l’«effetto Streisand», il fenomeno mediatico per il quale un tentativo di censurare o rimuovere un’informazione provoca l’effetto contrario di un’ampia diffusione a causa dell’attenzione mediatica che si genera attorno alla richiesta. Il fenomeno prende il nome dall’attrice e cantante Barbra Streisand, che nel 2003 intentò un’azione legale al fine di ottenere un risarcimento di 10 milioni di dollari e la rimozione di una serie di foto che raffiguravano la sua villa a Malibù e, a giudizio di Streisand, mettevano in pericolo la sua privacy, scatenando l’attenzione dei media americani e il dileggio nella rete e sui social.
“Un approccio del genere non solo non è credibile, ma è anche ridicolo”, continua Ficara Manganelli.
Secondo lo specialista, invece di chiederne l’eliminazione di un articolo o di un commento negativo il modo migliore di procedere è rispondere, o chiedere di pubblicare un proprio commento, una smentita o un’integrazione. “La traccia negativa rimane, ma viene immediatamente seguita da una spiegazione o da una rettifica”. Starà poi al lettore/utente decidere che idea farsi della questione. “Questo atteggiamento è molto più sensato e permette di risparmiare anche sui costi legali e burocratici di operazioni di rimozione che sono tutt’altro che semplici, nonché di rispondere a fake news o post-verità ribaltando tentativi di diffamazione sfruttandoli a proprio vantaggio – una brand reputation davvero forte si crea anche così”. Entrando nel contraddittorio, non rifiutandolo o, peggio ancora, provando a mettere a tacere il dissenso.
Consulenti & social media, le sfide da vincere
A livello pratico, come possono i consulenti finanziari utilizzare meglio i social media? “L’attività di content marketing richiede un forte investimento in termini di tempo e impegno”, osserva Di Fraia. “Il mondo è pieno di consulenti, ed è allo stesso tempo pieno di social, di contenuti e, in ultima analisi, di rumore. L’unico modo per costruire una brand reputation a livello dei singoli, che aspiri ad essere visibile e di valore, in grado di generare contatti utili per chiudere contratti e fare business, è quello di essere in grado di assicurare alle proprie presenze digitali i contenuti necessari per renderle utili ai clienti e distintive rispetto ai competitor. In questo caso si possono ottenere ottimi risultati. Ma aprire la pagina Facebook del consulente finanziario e popolarla di contenuti in maniera saltuaria ha un valore bassissimo in termini di reputation, e forse fa più male che bene.”
“Come in ogni cosa ci vuole passione, che porta a studiare uno strumento di lavoro come un altro, molta umiltà e soprattutto non avere limiti generazionali e culturali”, evidenzia Ronchetti. “Oggi i consulenti finanziari hanno un’età media sopra i 50 anni e quindi ci sono pochi nativi digitali e pochissimi 50enni disposti ad imparare ad usarli come si deve. Stiamo mettendo a punto una segmentazione dei consulenti finanziari italiani in base alla minore o maggiore predisposizione all’utilizzo dei social e dei device digitali e stanno emergendo risultati sorprendenti che ci piacerebbe condividere con l’industria, magari in occasione del prossimo Salone del Risparmio. Non è facile trovare – a dire il vero quasi in ogni professione – chi capisce l’importanza di uscire dalla propria comfort zone e di cimentarsi in linguaggi nuovi che saranno sempre di più quelli che si useranno nel futuro”.
La nuova frontiera del rapporto cliente-consulente
In conclusione, la grande potenzialità – ancora non completamente espressa – dei social nel campo della gestione del risparmio e della consulenza finanziaria è quella di avvicinare i consulenti ai clienti, potenziandone il ruolo di gestori di relazioni e aiutandoli a trasformare i risparmiatori in investitori agendo sempre nel loro interesse. Secondo Ficara Manganelli, questo è possibile perché tramite questi canali i consulenti possono venire incontro al risparmiatore in maniera indiretta, anticipando i trend di mercato e presentando tempestivamente informazioni sui prodotti o sugli investimenti che possono accendere l’interesse del pubblico, lasciando che siano gli stessi clienti, potenziali o già acquisiti, a contattare il consulente. “Il private banker che fa inbound in modo tradizionale, tampinando i clienti con telefonate e richieste di incontri o proposte di cene e aperitivi ha fatto il suo tempo. Oggi è l’outbound sui social media che fa la differenza, in cui il professionista dissemina la rete dei vari canali sociali con informazioni utili per la propria attività, che rispondono alle domande dei clienti nel momento in cui se le fanno. Siccome gliel’ho date io, verrà da me a chiedere l’investimento. È la versione ‘social’ del cercami che ti spiego: solo che ti spiego prima, così tu cerchi me e non un mio concorrente, che magari è bravo quanto me ma non ti ha ancora aiutato a capire il quello in cui vuoi informazioni. È quello che oggi si chiama branded content: contenuto autorevole che mettendo al centro il professionista e le sue competenze orienta il cliente nella scelta”.
“I social non sono un obiettivo ma un mezzo, e come ogni mezzo quello che conta è cosa un/a consulente ha da dire, come lo dice ed a chi lo vuole dire”, conclude Ronchetti. “Dando per scontato che ci siano i contenuti, la capacità di illustrarli e di individuare i clienti interessati non mi scandalizzerei a vedere per esempio un tutorial di un buon professionista, che mi spiega che lasciare i soldi sul conto corrente è un’occasione persa, mi fornisce esempi e mi racconta in modo efficace la storia dei mercati finanziari degli ultimi anni. Se il video piace magari qualcuno gli manda un like, e a furia di like magari un appuntamento o una consulenza li ottiene e magari riesce anche a valorizzare la propria gestione delle relazioni, ampliando la sua audience. Il tutto a patto che sappia comunicare, né più e né meno che come in ogni altra relazione personale con la differenza che in questo caso regna la social-democrazia”.
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