Wealth and Asset Management 2022: l’imperativo tecnologico. Imparare dai migliori, prima che sia troppo tardi
11 ottobre 2017
di Eugenio Montesano
4 min
L’industria del risparmio gestito sta attraversando una trasformazione radicale che ne cambierà il volto negli anni a venire. Ma il ritardo nel dotarsi di una solida infrastruttura tecnologica e nella costruzione di una reputazione da digital innovator può costare caro in termini di ricavi, produttività e quote di mercato
L’industria del risparmio gestito sta attraversando una trasformazione radicale che ne cambierà il volto negli anni a venire. Principale, tra le forze del cambiamento, è l’inesorabile transizione verso il mercato digitale che già spinge le società early adopter in una posizione di leadership, mentre altre faticano a tenere il passo rischiando di lasciare sul terreno fino a 79 milioni di dollari (66,8 miliardi di euro) per ogni miliardo di entrate.
È quanto emerge dal report Wealth and Asset Management 2022: The Path to Digital Leadership, pubblicato dalla società di ricerca americana Roubini ThoughtLab. Lo studio prende le mosse da un sondaggio condotto presso 1.503 società di gestione e consulenza finanziaria (sia tradizionale sia fintech) e da una serie di interviste con un centinaio tra top manager ed esperti dell’industria. La ricerca è stata condotta in collaborazione con una serie di player trasversali al settore, tra cui Appway, Broadridge Financial Solutions, Cisco, J.P. Morgan Asset Management, Oracle e Sapient Consulting.
“La convergenza della digitalizzazione, della globalizzazione e della consumerizzazione della tecnologia informatica finanziaria – il cosiddetto fintech – ridefinirà l’industria degli investimenti entro il 2022”, si legge nel report. “Per la maggior parte degli amministratori delegati, la questione non è più comprendere le modalità con cui il settore attraverserà una metamorfosi digitale, bensì garantire che le loro società non rimangano indietro nella corsa all’innovazione tecnologica”.
I numeri parlano chiaro: le imprese più innovative che hanno già intrapreso fasi avanzate di trasformazione dei modelli di business in chiave digitale riportano ricavi in aumento dell’8,6%, un miglioramento della produttività dell’11,3% e quote di mercato in aumento del 6,3%. Di converso, i ‘ritardatari’ digitali pagano non solo in termini finanziari a causa di una più scarsa redditività e di mancati risparmi sui costi, ma corrono il rischio di uscire dal mercato.
La velocità del cambiamento è notevole. Secondo la ricerca, la quasi totalità (99%) delle società di investimento è ora in fase di trasformazione digitale. Circa un quarto ha appena intrapreso il percorso, quasi la metà è in fase di transizione, e poco più di un quarto è già in una fase avanzata di innovazione digitale.
Solo il 2,3% emerge tuttavia in una posizione di leadership. Sono le aziende che il report definisce come ‘leader digitali’, che già da tempo utilizzano la tecnologia per innovare il processo produttivo, distributivo e di interazione con la clientela. Entro il 2022, il 20% delle imprese prevede di assumere una posizione da digital leader, e il 47% intende migliorare la propria infrastruttura tecnologica.
POCHI LEADER DIGITALI OGGI, MA MOLTE SOCIETÀ SI PREPARANO A DIVENTARLO
Dove si vedono le società di investimento nel processo di trasformazione digitale oggi, e dove intendono essere nei prossimi cinque anni. Fonte: Roubini ThoughtLab
La ricerca mostra che la trasformazione digitale è in cima ai pensieri dei dirigenti. I leader del futuro, si legge nel report, “devono farsi trovare pronti per il trasferimento di ricchezza tra generazioni a favore dei cosiddetti ‘nativi digitali’, stimato in 30mila miliardi di dollari”.
Il cambiamento delle abitudini della clientela è già in atto. Il 49% degli intervistati spiega di affrontare richieste crescenti da parte dei clienti-investitori per una maggiore semplicità e trasparenza del prodotto, per avere accesso ai servizi in qualsiasi momento e con qualsiasi dispositivo (45%), per una maggiore sicurezza e protezione dei dati sensibili (43%) e per prodotti più innovativi (32%).
Non tutti gli operatori riescono tuttavia a tenere il passo con la continua innovazione tecnologica finanziaria. L’indagine mostra che l’80% delle banche retail è indietro sul segmento smart beta, che il 71% dei broker non è pronto per il fintech e che il 50% degli asset manager “è impreparato a intraprendere una pianificazione olistica degli obiettivi” in chiave tecnologica.
Lou Celi, Roubini ThoughtLab
“Gli investitori non confrontano più i fornitori di servizi di investimento esclusivamente rispetto ai peer dell’industria, ma anche rispetto ad Amazon e Google. Pretendono quindi lo stesso livello di trasparenza, di customer service e di facilità d’uso a cui li hanno abituati i settori tecnologico e retail”, commenta Lou Celi, amministratore delegato di Roubini ThoughtLab e responsabile della ricerca.
Che fare, allora? Imparare dai migliori e risalire la china dell’innovazione tecnologica un passo alla volta. A partire dal cloud: il rapporto mostra che le piattaforme centralizzate su server esterni con massima libertà di accesso e flessibilità di interazione saranno essenziali per guidare l’innovazione digitale: entro il 2022 circa il 59% degli attuali leader digitali sostituirà le infrastrutture aziendali esistenti con piattaforme cloud. Ciò renderà più facile l’utilizzo delle tecnologie più avanzate come l’intelligenza artificiale, il blockchain, la robotica e la tecnologia crittografica per la sicurezza online, in forte crescita tra gli investiment provider.
Centrale a tutti gli sforzi di innovazione rimane la figura del cliente. Il report pone l’accento sull’importanza di espandere il mix di canali relazionali per integrare la presenza digitale dei clienti, sfruttando dati e analisi per comprenderne appieno esigenze e comportamenti. Ecco perché l’onboarding del cliente tramite piattaforme digitali sta rapidamente diventando la norma: il 43% delle società lo offre già ora, e il numero salirà al 69% entro il 2022.
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