Turchia più “bella”, ma resta l’incognita politica
16 maggio 2019
di Gaia Giorgio Fedi
2,30 min
La recessione ha riequilibrato la bilancia dei pagamenti. Ma senza una politica monetaria ortodossa le conseguenze potrebbero essere gravi
Paul McNamara, direttore degli investimenti per le strategie Local Bond Emerging Markets di Gam Investments
Sono tempi difficili per la Turchia. Sembrava sulla strada della ripresa, ma sconta ancora un quadro politico in grado di annullare i progressi fatti. Il 2018 è stato un anno disastroso, con il crollo della lira turca dovuto al crescente deficit con l’estero, che ha finito per portare il Paese in recessione. “Molti, noi compresi, si aspettavano il tracollo della crescita per fissare le fondamenta da cui far ripartire una ripresa sostenibile”, commenta Paul McNamara, direttore degli investimenti per le strategie Local Bond Emerging Markets di Gam Investments.
In effetti la brusca contrazione della domanda locale ha fatto crollare le importazioni, mentre la spinta competitiva dovuta alla svalutazione ha riportato il saldo delle partite correnti in positivo. Dinamiche che per McNamara sono frequenti nei mercati emergenti: “le recessioni rappresentano una cura affidabile contro un ampio deficit commerciale con l’estero”, spiega l’esperto. Eppure, nonostante i segnali positivi ce ne sono altri che preoccupano gli investitori.
“L’impegno nei confronti di una politica monetaria ortodossa, con il rialzo dei tassi per tenere sotto controllo l’inflazione, è stato incostante. Se da una parte il forte rialzo del deficit fiscale appare difendibile, considerato il debito pubblico contenuto e la portata del rallentamento, dall’altra altri aspetti della politica economica appaiono più preoccupanti”, osserva McNamara. Mentre i prestiti erogati dalle banche private sono crollati, le banche statali sembrano venire utilizzate per proteggere dalla recessione i settori favoriti dalla politica, “creando più liquidità di quanto possano sostenere le basse riserve in valuta della Turchia. Nel frattempo, il brusco calo delle riserve in valuta estera dimostra che il governo è intervenuto per impedire alla lira di trovare un livello di equilibrio, quasi certamente per motivazioni politiche in vista delle elezioni locali”, commenta ancora il manager di Gam, convinto che il Paese debba segnalare che sta tornando entro in canoni dell’ortodossia per stabilizzare il suo sistema finanziario.
La lira probabilmente perderà ancora valore, almeno temporaneamente, ma la trasformazione della bilancia dei pagamenti dovrebbe aiutare. Ma se il governo invece tentasse un’espansione indiretta attraverso le banche statali, e persuadesse la banca centrale a tagliare i tassi o mettesse in pericolo i progressi fatti finora, le conseguenze potrebbero essere gravi.
Craig Botham, senior emerging markets economist di Schroders
Craig Botham, senior emerging markets economist di Schroders, nota che la Turchia soffre di alcuni problemi con un altro Paese che in questo momento viene guardato con preoccupazione, l’Argentina. “L’inflazione è una preoccupazione importante in entrambe le economie ed entrambe le banche centrali hanno avuto difficoltà a controllarla ultimamente”, spiega Botham. Inoltre, c’è il fattore politico che crea timore: in Turchia Erdogan “è fortemente contrario a una politica monetaria più convenzionale e a tal fine ha fatto pressioni sulla Banca Centrale in diverse occasioni”, mentre in Argentina si rischia il ritorno al potere di Cristina Kirchner. Di suo, Ankara in più ha il problema di avere poche armi a disposizione per difendere la sua valuta. Ma Botham esclude che dalla situazione della Turchia (né da quella dell’Argentina) possa scattare il contagio agli altri mercati emergenti.
Botham (Schroders): "Le sfide politiche per Turchia e Argentina sono molto significative, se non insormontabili, ma la buona notizia per il resto degli emergenti è che si tratta di rischi molto specifici"