L’Europa s’è desta. In arrivo il Recovery Fund per rispondere alla crisi
I 27 Paesi Ue hanno concordato sulla necessità di istituire un fondo urgente per mobilitare 1000-2000 miliardi finanziati da titoli emessi dalla Commissione europea
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La proposta della Commissione Europea sul Recovery Fund mette sul piatto 750 miliardi di euro di stimoli fiscali, con un mix di sussidi per 500 miliardi e 250 miliardi di prestiti da restituire. All’Italia, duramente colpita dalla crisi del coronavirus, lo schema destina la fetta più grossa, pari 172,7 miliardi, tra cui 81,8 miliardi di stanziamenti a fondo perduto e 90,9 miliardi di prestiti da restituire. “Una buona notizia”, secondo Mario Seminerio, investitore istituzionale e blogger di fama, “purché l’Italia si dimostri capace di spenderli”. Secondo Seminerio, infatti, finora il Paese si è dimostrato “poco capace sulla spesa dei fondi europei e sulla programmazione economica”, e se le istituzioni non dovessero dimostrarsi in grado di indirizzare le risorse verso i giusti investimenti la situazione dei conti pubblici potrebbe dimostrarsi insostenibile. E potrebbe fare capolino, se non la patrimoniale, “una repressione finanziaria estrema”.
Non mi sorprende molto alla luce dell’evoluzione del dibattito negli ultimi giorni, ma senza dubbio si tratta di una notizia interessante. La parte di “grant” è di entità robusta e se calcoliamo la differenza con la contribuzione al bilancio dell’Unione, di 56 miliardi, l’importo netto risulta di 26 miliardi. Ma va anche considerato che c’è una sfasatura temporale – probabilmente una mossa di ingegneria finanziaria voluta per massimizzare il sostegno – tra la ricezione dei fondi e il rimborso dei prestiti, che saranno a lunghissimo termine.
In ogni caso, se guardiamo all’aspetto quantitativo sicuramente la proposta è interessante e positiva, politicamente si è cercato un equilibrio tra frugali e “prenditori”. Anche se va detto che l’Italia si è giocata un po’ la dignità con il suo atteggiamento “datece li sordi”.
Se è per questo le misure fiscali si integrano anche con quelle monetarie della Bce, ma riconosco purtroppo che il dibattito economico nelle ultime settimane è stato drogato da aspettative gonfiate su erogazioni massicce, che non avevano alcun fondamento. C’è già gente che minimizza l’impegno Ue sostenendo che le priorità indicate nei programmi europei sarebbero state superate dalla gravità degli eventi, un modo inelegante per dire anche che non accettiamo il vincolo di destinazione. Spero che questi annunci aiutino a contrastare la retorica populista, ma osservo che questo avvelenamento del dibattito, che fa leva sulle convinzioni di chi ritiene che ci sia una specie di complotto per depauperare l’Italia, va avanti da molti anni ormai, da prima della crisi finanziaria del 2008, e ha trovato terreno fertile in un Paese disinformato e tendente all’individualismo anarcoide come il nostro, dove la fiducia nelle istituzioni europee è molto volatile.
Solo se dimostreremo di essere capaci di spendere bene le risorse, di indirizzarle nella direzione giusta. Non abbiamo un buon track record su questo fronte, basta pensare alla saga su Alitalia, ricordo di clausole per gli investimenti in governi recenti che non sono state rispettate, e temo che alla fine una parte delle risorse possa finire in soldi per monopattini e biciclette assegnati con il click day. Abbiamo un rendimento della spesa pubblica molto basso perché non sappiamo programmare, e temo che anche in presenza di un vincolo formale esterno – i suggerimenti della Commissione europea sull’uso delle risorse – la nostra reazione sarà di ribattere che non possono venire a comandare in casa nostra, e poi dirotteremo le risorse verso la sagra dello gnocco fritto.
Su mercati c’è già stata una reazione positiva, anche per il combinato disposto delle iniziative abnormi della Fed a sostegno dell’economia, e di una generale tendenza delle banche centrali – vedi anche quella giapponese – di passare da uno stimolo a un altro. Certo, di fatto si sta drogando il mercato; non c’era altra scelta, ma la Fed si è spinta talmente tanto in là da fare quasi paura.
Per quanto riguarda le asset class, l’azionario resta dominato dalla cosiddetta “fear of missing out”, che ha determinato una ripresa fin troppo repentina, ma dove vediamo che a tirare i listini sono piattaforme tech e biotech, mentre manifattura ed energia ancora latitano. Sul reddito fisso, sicuramente con i tassi ormai sotto terra i gestori dovranno spostarsi sempre di più sui prodotti a spread, in particolare i corporate, e questo riprodurrà un certo scollamento tra quotazioni dei bond e fondamentali sottostanti.
È presto per dirlo. Le misure in campo, tra quelle fiscali e quelle monetarie, sono massicce. Ma in Europa c’è pur sempre un elefante nella stanza, l’Italia: un Paese con il terzo debito pubblico al mondo, con una popolazione anziana, con condizioni economiche che continuano a deteriorarsi di anno in anno, con un meccanismo di erosione della ricchezza. Ogni volta che c’è una crisi precipitiamo e quando arriva la ripresa strisciamo sul fondo, e così si allarga la nostra distanza dagli altri Paesi europei. Se sprechiamo questa occasione, se alla ripresa produrremo un misero zero virgola, la situazione diventerà insostenibile. E il prossimo passo potrebbe essere l’assalto alla liquidità degli italiani.
Comunque un meccanismo che farà carne da macello dei risparmi. Una repressione finanziaria che potrebbe mettere i risparmiatori di fronte all’alternativa di pagare una tassa patrimoniale o di comprare dei “Btp patriottici”, magari dei bond a lunghissima scadenza che danno l’1%. Il fatto che siamo nell’UE in teoria ci impedisce di dichiarare unilateralmente controlli sui capitali, ma in teoria, se la situazione dovesse precipitare, sarebbe possibile. Del resto, la Grecia lo ha fatto per anni.