Cina, il primo pericolo per gli investitori
La spesa al consumo, la produzione, la crescita del credito e il mercato immobiliare stanno tutti mostrando segnali di debolezza con l’avvicinarsi del nuovo anno
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Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Dic – Gen 2019 |
La Cina rallenta progressivamente in un trend che si annuncia di lungo termine e che avrà effetti ben oltre il confine del Celeste Impero. La crescita del Pil è passata dal 6,7% del secondo trimestre al 6,5% del terzo, senza che si sia manifestato l’effetto dell’inasprimento dei dazi americani per ora solo promesso da parte di Trump.
“Il rallentamento strutturale che si sta registrando sull’economia cinese è uno degli elementi che preoccupa maggiormente gli operatori sui mercati finanziari – commenta Alessandro Allegri, amministratore delegato di Ambrosetti Am Sim – Mentre il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina resta ancora decisamente vivo, gli ultimi dati cinesi mostrano debolezza nella crescita del paese nonostante si sia iniziato a stimolare l’economia interna; gli interventi sia sul fronte monetario che fiscale e regolamentare risultano una scelta gradita ai mercati con un obiettivo di lungo periodo”.
Il rallentamento del Pil cinese è fisiologico secondo Allegri, e non è secondo Isaac Meng, portfolio manager di Pimco per i mercati emergenti, l’unico cambiamento in corso nel Celeste Impero. “Per la prima volta dal 1993 il Paese ha avuto un deficit di conto corrente nei nove mesi del 2018: è cioè diventato un importatore di capitale”, puntualizza Meng, che ritiene che “la Banca popolare cinese, potrebbe accelerare il suo spostamento verso un regime di cambio più flessibile. Lo yuan funzionerebbe più come stabilizzatore automatico per compensare gli shock esterni”. Data l’inelasticità della domanda cinese di petrolio e materie prime, secondo Meng, “il conto corrente della Cina potrebbe rimanere in deficit nel 2019. Ulteriori cambiamenti strutturali e aggiustamenti dei cambi da parte di Pechino potrebbero, influenzare a loro volta le economie asiatiche strettamente integrate con la Cina, come Taiwan, Corea del Sud e membri dell’Asean”.
Tuttavia, “a preoccupare maggiormente i mercati è la crescita del debito sul Pil, in particolare quello corporate e immobiliare – continua Allegri – Anche questo dato è più che giustificato da un chiaro cambiamento del mercato di sbocco. La domanda interna, infatti, inizia a rappresentare una costante sempre più importante tale da spostare gli equilibri in termini di peso dell’export, che oggi rappresenta solo il 20% del Pil. Ed è certamente anche su questa leva che sta puntando l’apparato cinese per affrontare le nuove barriere commerciali americane con misure mirate a stimolo della crescita interna”.
Per gli investitori è un momento complesso ma, “all’interno di questa situazione di temporanea congestione – afferma Allegri – inizia a essere interessante la diversificazione offerta dalle A shares, i titoli delle aziende cinesi quotati sul listino di Shanghai (a differenza delle H-shares quotate a Hong Kong, ndr), più concentrate sul mercato domestico, meno influenzate dalla guerra delle tariffe, dalle variazioni del tasso di cambio e meno correlate con gli indici globali. Un mercato ampio e liquido, ma ancora inefficiente in quanto molto guidato dal retail, dunque ricco di rischi e opportunità”.