Rimangono il più grande mercato dei consumi al mondo e alcune aziende potrebbero pensare di tornare a produrre lì. Ce ne parla Carla Scarano di Anima Sgr
Carla Scarano, senior portfolio manager Azionario Globale di Anima Sgr
Wall Street è un buon investimento? L’indice tecnologico Nasdaq Composite questa settimana ha aggiornato nuovi massimi storici ma la resistenza psicologica incontrata a 10mila punti ha poi smorzato gli entusiasmi, anche perché la riunione della Fed di mercoledì e giovedì, dagli esiti largamente scontati dal mercato, ha fatto scattare le prese di beneficio.
Per orientarsi al meglio nel variegato universo azionario di Wall Street, quindi, occorre tenere la bussola ferma verso le azioni a maggior crescita. Ce ne parla in questa intervista Carla Scarano, senior portfolio manager Azionario Globale di Anima Sgr.
Pensate che la crisi Covid abbia messo in discussione le catene di approvvigionamento delle aziende Usa?
Le società che sono riuscite a creare dei network globali con produzioni snelle hanno conseguito enormi efficienze operative e risultati aziendali. Tutto questo sembra sia stato messo in discussione dalla crisi Covid che ha fatto emergere vulnerabilità che molte società non pensavano di avere. Queste hanno dovuto infatti preoccuparsi della carenza di beni primari per la produzione dei propri prodotti, a causa dello shock della domanda ed offerta. Le catene di approvvigionamento che avevano una più elevata complessità, concentrazione, interconnessione si sono dimostrate le più fragili e crediamo che questa crisi possa mettere in atto delle maggiori misure di gestione del rischio che porteranno a sviluppare maggiore resilienza nel caso di futuri shock.
Come reagiranno i grandi player – ad esempio Apple – la cui produzione è concentrata in Cina? Per quello di cui siete a conoscenza, ci sono in programma delocalizzazioni a favore di altri Paesi?
Lasciare completamente la Cina come centro della propria attività produttiva non è semplice visto che ha comunque offerto un ottimo mix di costi, qualità, efficienza ed impiego di capitale umano negli ultimi 30 anni. Per avere una misura del costo di lasciare la Cina è stato stimato che un lavoratore cinese produce lo stesso valore di beni al pari di 4 di altre aree del sud est asiatico, come ad esempio il Vietnam o la Tailandia. Quindi non sorprende il fatto che qualsiasi spostamento delle catene di approvvigionamento non avverrà senza sostenere ulteriori costi. Nel caso di Apple non è un problema di costi ma di qualità, perché se prendiamo ad esempio un iPhone con un prezzo medio di 750 dollari, il costo di produzione è pari a 500 di cui solo 30-50 sono legati all’assemblaggio, piuttosto minimale. Pertanto, non sarebbe costoso spostare la propria capacità produttiva, quanto piuttosto replicare perfettamente tutto l’ecosistema ed il network che hanno creato, senza compromettere la qualità dei prodotti. Tuttavia, è recente la decisione della società TSMC, uno dei maggiori produttori di processori al mondo, di spendere 12 miliardi di dollari per costruire un nuovo impianto in Arizona, con avvio della produzione a partire dal 2024, facendo pensare all’inizio di un trend di delocalizzazione dalla Cina agli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il lato della domanda, quanto vi preoccupa un eventuale calo dei consumi da parte della Cina?
Il più grande mercato dei consumi al mondo è rappresentato dagli Stati Uniti, dove tale componente pesa per il 70% circa del Pil e la spesa in consumi negli Usa è più grande di quella degli altri grandi paesi come Cina, Giappone, Gran Bretagna e Germania. Anche a fronte di un rallentamento della domanda dei beni da parte dei cinesi, dove i consumi pesano per il 40% del Pil, se la spesa in consumi dovesse reggere negli Stati Uniti, la crescita della domanda a livello globale potrebbe sorprendere in positivo rispetto alle attese degli investitori, con degli effetti potenziali anche sulla crescita dei listini azionari.
Nel vostro portafoglio ci sono sia titoli tecnologici come Amazon e Alphabet, sia titoli collegati alla grande distribuzione. Come pensate possano convivere questi due settori nel nuovo scenario economico post Covid19?
La domanda di servizi offerti da società tecnologiche con elevata crescita e leader dell’ultimo decennio ha sperimentato un enorme aumento dall’inizio della crisi Covid. L’arrivo del virus ha accelerato l’adozione di tecnologie che erano già ben radicate nella vita di tutti i giorni e ritengo che anche quando questa crisi finirà, l’utilizzo delle stesse continuerà ad essere pervasivo. Amazon, leader nelle vendite di beni online, ha riportato un incremento del fatturato del 26% nel primo trimestre di quest’anno e secondo alcuni analisti, la loro crescita nell’e-commerce ha sperimentato una crescita del 83% nel mese di maggio, dopo il 73% di aumento del mese di aprile. Persino società leader nella grande distribuzione come WalMart, hanno visto aumentare proprio nell’ultimo periodo di crisi Covid la domanda di beni tramite il canale internet di circa l’80%. Le società che stanno guadagnando quota di mercato in questo momento sono le stesse che stanno cercando di investire per uscire ancora più forti dopo la fine della crisi.
Per quanto riguarda gli Usa, come pensate possano uscire dalla crisi? Quale ruolo avranno nel nuovo scacchiere geopolitico globale? Con che conseguenze per la forza del dollaro?
Le forti azioni di stimolo monetario e fiscale implementate dalle autorità americane stanno supportando l’economia, il cui Pil, nel 2020, dovrebbe comunque finire in calo in termini reali del 5%. I listini stanno scontando un ritorno alla normalità per il 2021, in cui gli utili per azione delle società americane sono previsti tornare agli stessi livelli del 2019, prima della crisi Covid. Una eventuale crescita degli investimenti in Usa potrebbe creare nuovi posti di lavoro, aumentare la produttività e quindi portare ad un incremento della crescita potenziale del Pil di lungo periodo.
Tuttavia, il deteriorarsi dei rapporti tra Stati Uniti e Cina potrebbe portare ad un duopolio vero e proprio di superpotenze a livello globale: sebbene questo processo in atto sia molto criticato dai sostenitori della globalizzazione, potrebbe portare a dei risvolti positivi sulla crescita, innovazione e produttività. La più grande conseguenza positiva potrebbe essere l’aumento degli investimenti statali che integrati con quelli del settore privato potrebbero dare origine a due hub di innovazione, sviluppando standard differenti, come ad esempio nel settore tecnologico (5G). Altri ambiti dove si potrebbe creare competizione sono quelli finanziari o delle infrastrutture.
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