Monier (Lombard Odier): “Gestiamo la volatilità con un mix di asset di rischio e di protezione”
Il direttore degli investimenti sostiene che il rischio si può contenere “detenendo strumenti altamente liquidi in tutta la gamma di asset class”
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Il peggio è alle spalle o il colpo di grazia deve ancora venire? Con la fine del primo semestre di una anno senza precedenti, per i gestori sono inevitabili i bilanci e soprattutto le analisi per capire come si muoveranno i mercati nel prossimo futuro. E nonostante le tante variabili in gioco, da una possibile seconda ondata alla forma che prenderà la ripresa, è possibile tracciare una mappa che aiuti a orientarsi nella nebbia. Mappa che vede tra gli ingredienti principali l’azionario, l’Europa, il Giappone e gli Emergenti.
Per gli esperti di Flossbach von Storch le oscillazioni, anche forti, resteranno nel menù, ma non rivedremo i tracolli di marzo. Per comprendere quello che ci aspetta, gli analisti hanno provato ad individuare analogie e differenze della bufera Covid-19 con la Grande Depressione del ’29 e soprattutto con la crisi finanziaria del 2008: alle drastiche battute d’arresto del 2007 è infatti seguita una altrettanto significativa ripresa, prima che i prezzi tornassero a scendere a nuovi minimi nel 2008 e nel 2009.
Colpo di grazia in arrivo, dunque? No, secondo gli esperti: “Per quanto i prezzi possano calare in qualsiasi momento, uno scenario peraltro probabile visto il fragile contesto di mercato, non scivoleranno a nuovi minimi, almeno non secondo le prospettive odierne”, assicurano, spiegando che a differenza della crisi finanziaria, quella del Covid-19 non è, o almeno non ancora, una ‘crisi sistemica’, bensì una crisi scatenata da uno shock esterno. “Se le circostanze attuali dovessero trasformarsi in una crisi sistemica perché le banche saranno di nuovo in difficoltà, né i politici né le banche centrali dovrebbero permettere che si verifichi un secondo caso Lehman, men che meno per farne un esempio”, precisano.
“Le principali banche centrali hanno già dichiarato di voler ‘andare in All-in’. La Fed, ad esempio, ha promesso il 23 marzo di fornire un sostegno praticamente illimitato. E le altre banche centrali non saranno da meno. Queste massicce misure di supporto, unitamente agli ingenti programmi congiunturali, contribuiranno a cementare i tassi d’interesse ai minimi storici. Per molto tempo a venire. Gli investimenti azionari saranno quindi un ‘must’ nei prossimi anni. Anche se a volte potrebbero comportare profonde oscillazioni”, concludono da Flossbach von Storch.
Mano sicuri del fatto che il peggio sia ormai alle nostre spalle sono invece Andrea Delitala e Marco Piersimoni, rispettivamente head of euro multi asset e senior investment manager di Pictet Asset Management, che sottolineano la dicotomia tra il ravvio delle attività economiche in gran parte del mondo, accompagnato dal massiccio stimolo fiscale ed economico, e le nere previsioni del Fondo Monetario Internazionale. “Ciò che appare al di fuori di ogni dubbio è che il percorso per uscire dalla crisi sarà pieno di insidie – avvertono -. L’elevata dispersione osservata nelle previsioni economiche ne è una dimostrazione. In assenza di notizie positive sul fronte della ricerca medica, cure o vaccini che siano, in una crisi scaturita da un’emergenza sanitaria è normale che l’incognita più grande riguardi l’efficacia delle misure di contenimento della diffusione del virus”.
Per Delitala e Piersimoni, ad oggi il modello cinese, in parte replicato nel resto dell’Asia e in Europa, sembra vincente mentre desta maggiore preoccupazione la linea scelta dai Paesi anglosassoni, più blanda e che potrebbe far aumentare il rischio di nuovi focolai e inficiare in modo significativo la ripresa, soprattutto nel settore dei servizi. Non solo: per gli Usa i due esperti vedono anche ulteriori rischi dovuti alle imminenti elezioni presidenziali. “Tutto questo può giustificare dal punto di vista degli investimenti una maggiore attenzione ai listini emergenti e a quelli europei – affermano-. A tal proposito, il Vecchio Continente oltre ad aver mostrato una gestione più ordinata e rigorosa della pandemia che ha fatto sì che oggi l’attività economica stia riprendendo vigore, presenta in questo momento, caso più unico che raro, una maggiore stabilità politica. Anzi, con l’attesa approvazione del nuovo Recovery Fund o Next Generation Eu si appresta a compiere un passo epocale verso una sempre più forte integrazione”.
Secondo gli esperti di Carmignac, per cercare di guardare oltre il rumore a breve termine, vale la pena di analizzate due aspetti dell’andamento del mercato: “Uno è la dinamica interna dei mercati in questo periodo di volatilità, l’altro è il grado di incertezza che noi investitori dobbiamo riconoscere per poter navigare in sicurezza in questo contesto”. Per il momento, fanno notare che ciò che sappiamo è quanto i policy maker globali stiano cercando di aiutare. Certo, ammettono anche loro che restano tantissime incognite, dalle elezioni Usa, all’evoluzione dei contagi alla ripresa dei consumi asiatici e nel resto del mondo.
“Dobbiamo essere consapevoli di questa ampia mancanza di visibilità per evitare di fare previsioni costruite sulla sabbia, ed è una motivazione in più a sostegno della nostra strategia di investimento – evidenziano -. In sostanza, l’idea è proprio quella di attenerci alle nostre convinzioni: sul fronte azionario, titoli growth di elevata qualità con una comprovata resilienza dei loro modelli di business, e produttori di oro per affrontare il rischio macro a livello globale. E nel reddito fisso una maggiore esposizione all’Europa, con un posizionamento sia nel credito che nel debito periferico che ci permette di beneficiare del sostegno politico che ci viene offerto dall’allineamento senza precedenti dei messaggi di Christine Lagarde, Ursula von der Leyen e Angela Merkel”.
Qualità è anche la parola d’ordine di Schroders, che per questo guarda con sempre più interesse al Giappone. Simon Adler, fund manager equity value, cita a questo proposito il Financial Times, secondo cui le società quotate giapponesi avevano oltre 6.000 miliardi di dollari di liquidità e obbligazioni a breve termine nei loro bilanci a fine 2019, pari a più del 130% del Pil giapponese, circa il triplo rispetto allo stesso rapporto negli Stati Uniti, dove circa un terzo di tale liquidità è concentrato nelle mani dei giganti del tech, invece che essere diffusa nei vari settori come nel Sol Levante.
“Nonostante le condizioni avverse che devono affrontare oggi, nel prossimo futuro le società giapponesi saranno in grado di investire sia in spese in conto capitale che in ricerca e sviluppo, di remunerare i dipendenti e di pagare i dividendi per un periodo molto più lungo rispetto alle società di qualsiasi altro Paese al mondo. Un’altra conseguenza di questa discrepanza potrebbe essere un’impennata nel numero di fusioni e acquisizioni, sia in Giappone che all’estero”, sostiene Simon Adler, fund manager equity value. Che conclude: “Abbiamo notato che al calibro notevolmente elevato dei bilanci delle aziende giapponesi corrisponde la natura notevolmente bassa delle loro valutazioni. Riteniamo quindi che queste imprese siano i vincitori, anche se al momento sono prezzate come fossero gli sconfitti”.