Essenziale il consolidamento di bilancio
Per Tria, ministro dell’Economia, è condizione necessaria per tutelare i risparmi degli italiani e ottenere una crescita stabile. Difficile che ci siano strappi sui conti pubblici
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Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Ago – Set 2018 |
Il calo della volatilità degli ultimi anni ha abbassato il livello di rischiosità dei portafogli globali e ha spinto gli investitori ad aumentare l’esposizione verso asset più rischiosi. Al tempo stesso, come emerge dall’ultima edizione del Barometro dei Portafogli Globali targato Natixis, i risparmiatori italiani hanno fatto incetta di fondi cosiddetti multi-asset. Prodotti che fino a oggi sono andati, e stanno andando, molto bene, “ma che per il futuro potrebbero rappresentare un problema – avverte Alessandro Marolda, senior analyst del Prcg di Natixis Investment Managers – Si tratta di fondi molto correlati all’azionario; un misto di asset tradizionali che fanno aumentare la componente di rischio del portafoglio. E se l’azionario dovesse crollare, o se dovesse crescere la correlazione con l’obbligazionario, l’investitore allora diventerebbe vulnerabile”. Le avvisaglie di un possibile cambiamento di rotta ci sono già state. A partire all’aumento della volatilità, o ancora dalle prime prove di correzione che si sono viste a febbraio. Negli ultimi mesi, poi, l’acuirsi delle tensioni geopolitiche e l’escalation nella guerra commerciale Stati Uniti e Cina hanno messo a dura prova la tenuta dei mercati finanziari. Per di più, a fine anno la Bce dovrebbe abbandonare definitivamente il Quantitative Easing e quello che succederà sarà tutto da scoprire. Insomma, le incognite sono tante e l’incertezza regna.
È evidente che il contesto 2018 è cambiato rispetto agli anni precedenti. “Tuttavia l’esposizione al rischio non è variata – puntualizza Antonio Bottillo, country head per l’Italia di Natixis Investment Managers – Ma se negli ultimi anni gli investitori hanno incrementato il rischio in portafoglio con consapevolezza, oggi dovrebbero essere altrettanto consapevoli che il contesto si è modificato”. E dovrebbero agire. “Alleggerendo il peso dei multi-asset a favore di prodotti più dinamici, come i liquid alternative, maggiormente decorrelati e più diversificati”, puntualizza Marolda.
Una visione che trova riscontro anche nell’indagine Mercer condotta tra gli investitori istituzionali. Una survey sull’asset allocation 2018, giunta alla sedicesima edizione, che mette a confronto i trend di asset allocation di 912 investitori istituzionali europei, rappresentativi di 12 Paesi e di un asset under management di 1.100 miliardi di euro. L’Italia, con i suoi 100 miliardi di masse in gestione, pesa quest’anno il 9% del campione (l’anno scorso era il 5%), grazie alla partecipazione all’indagine di Casse di previdenza, fondi pensione e fondazioni bancarie. In particolare, secondo la ricerca condotta da Mercer, rispetto ai 12 mesi precedenti, il portafoglio medio europeo degli istituzionali è rimasto pressoché invariato nei pesi attribuiti alle diverse asset class (azioni, bond, alternative, immobiliare e liquidità). Ma se si guarda lo spaccato dei singoli Paesi emergono tendenze interessanti. Come per l’Italia, dove la componente azionaria è cresciuta sensibilmente passando dal 20% al 28%. È calata invece la componente obbligazionaria (dal 38% al 35%), a favore degli investimenti alternativi, che mostrano un peso superiore alla media europea (19% contro 15%).
Un dato accolto con entusiasmo da Luca De Biasi, wealth business leader di Mercer Italia, che parla di uno “spaccato rassicurante” per il Belpaese. “È un’asset allocation ben bilanciata – ha aggiunto Marco Valerio Morelli, ceo di Mercer Italia, in occasione della presentazione dell’indagine – che mostra un’evoluzione in positivo rispetto al passato”. L’indagine, inoltre, mostra un interesse sempre maggiore verso i mercati privati (private debt e investimenti alternativi), con l’85% degli istituzionali partecipanti al campione che sta valutando la possibilità di investire nella categoria (erano il 77% un anno fa). Tra le asset class più appealing, il private debt e il private equity, forti anche dei rendimenti annualizzati offerti tra il 2003 e il 2017, rispettivamente l’8,9% e
il 12,2 per cento.
Almeno tra gli istituzionali, dunque, qualcosa si sta muovendo. E ultimamente qualche movimento lo si comincia a vedere anche tra i piccoli risparmiatori, “che si stanno allontanando progressivamente dall’obbligazionario per avvicinarsi alle strategie alternative, in ambito azionario”, conferma Bottilo. Lo testimoniano anche i dati di raccolta dei fondi comuni, che hanno visto la liquidità migrare appunto dai prodotti con una forte connotazione obbligazionaria verso altre categorie di strumenti. “Tutto ciò che non è benchmark, che non è beta, che non è direzionalità pura, fa bene al portafoglio – aggiunge Bottillo – L’utilizzo di strategie che fin qui hanno portato al successo potrebbero, anzi dovrebbero, essere messe in discussione. E a mio avviso si dovrebbe cominciare ad aumentare il peso in portafoglio dei fondi alternativi”, oggi utilizzati in proporzione decisamente inferiore rispetto ai fondi multi asset, nonostante offrano l’allocazione con la minore correlazione con le asset class tradizionali.