In attesa della nomina del nuovo chairman della Fed, l’economia americana è più che mai sotto la lente degli investitori. Ne parliamo con Ugo Montrucchio, gestore multi asset di Schroders
La settimana che si apre è densa di dati ed eventi provenienti dagli Stati Uniti, dove gli occhi degli investitori sono puntati sulla Federal Reserve che potrebbe rialzare i tassi nella riunione del Fomc di mercoledì 1 novembre, anche se le aspettative del mercato sono per una mossa di un quarto di punto a dicembre. L’ultimo rialzo risale al 14 giugno. Ad alimentare l’entusiasmo degli investitori c’è anche la lettura preliminare del Pil Usa del terzo trimestre, cresciuto per la seconda volta di fila del 3%.
Sale intanto l’attesa per la scelta di Trump sul prossimo governatore della Federal Reserve, prevista questa settimana. La lotta sembra ristretta a Jerome Powell e alla stessa Yellen, che è in scadenza in febbraio, con l’economista John Taylor nella rosa. Voci secondo cui Powell – visto da più parti come una colomba – sembra favorito hanno permesso ai Treasury di finire in rialzo: il decennale ha chiuso con rendimenti al 2,426% dal 2,452% della seduta precedente.
Da seguire anche l’andamento del mercato lavoro Usa con la pubblicazione, venerdì 3 novembre, del nuovo rapporto sull’occupazione. Dopo il settembre funestato dagli uragani, ci si attende una crescita di 300mila nuovi posti. Il tasso dei senza lavoro è visto stabile al 4,2%, ai minimi da sedici anni.
Sul fronte valutario, dai minimi di settembre il dollaro ha recuperato il 4% ma è ancora in calo da inizio anno. Intanto i listini americani continuano la loro corsa: Wall Street ha chiuso in rialzo la seduta di venerdì scorso, con l’S&P 500 e il Nasdaq Composite che hanno finito a livelli record.
La convergenza di questi fattori, tra dinamiche di pressione salariale su un tasso di disoccupazione molto basso, un biglietto verde ancora debole sul mercato dei cambi, l’aumento dei prezzi sulle importazioni dei beni prodotti nella regione asiatica e, più in generale, una crescita che appare solida e stabile, porta alcuni gestori a ritenere che le stime sull’inflazione di breve periodo siano sbilanciate al ribasso.
Tra questi c’è Ugo Montrucchio, fund manager multi asset di Schroders per cui gestisce, tra gli altri, il fondo da 478,8 milioni di euro Schroder ISF Global Multi-Asset Balanced assieme al collega Urs Duss. Con il gestore italiano abbiamo discusso il posizionamento del fondo e le decisioni di investimento, a partire dal dato a doppia cifra sulla liquidità.
Guardando la ripartizione delle diverse classi di investimento delineata nell’ultimo factsheet del fondo, aggiornato al 29 settembre 2017, colpisce il 10,6% di liquidità. Cosa ci dice questa allocazione sull’obiettivo di investimento del fondo e sulla vostra visione dell’andamento dei mercati?
L’allocazione in cash al 10% è leggermente più alta del solito, in parte dovuta anche al fatto che abbiamo ridotto la duration in modo abbastanza aggressivo nel corso dell’anno. Ma è anche indicativa della convinzione che alcune valutazioni hanno avuto un buon riscontro di mercato ma non offrono più molto valore aggiunto come fino a pochi mesi fa. Non siamo ancora nella fase di ridurre posizioni in maniera aggressiva, ma l’approccio da ora in avanti ed entrando nel 2018 sarà più difensivo rispetto a quello che abbiamo tenuto nel corso del 2017. Dall’inizio dell’anno abbiamo mantenuto una view forte che ha pagato a livello di scommessa ciclica, spostandoci in modo importante sulla parte dei paesi emergenti sia a livello di debito che di equity, oltre che in Europa e Giappone. Un’altra scommessa settoriale importante sul lato equity è stata quella nel settore finanziario degli Stati Uniti, che secondo noi offre una buona combinazione di valutazioni e sfruttamento del ciclo economico. Il nostro obiettivo di mercato è un rendimento del 3% oltre il cash, che in questo momento è negativo. Al momento abbiamo raggiunto il nostro livello-obiettivo.
L’inflazione core in America resta bassa all’1,3%. Qual è la sua analisi sul trend di aumento dei prezzi negli Stati Uniti?
Sull’inflazione americana sono leggermente disallineato dal consenso. È innegabile che da un punto di vista strutturale, di medio termine (cinque anni), ci sono forze che spingono contro un aumento dei prezzi: mi riferisco alla demografia e al progresso tecnologico. Sono talmente forti da mettere un cap naturale al livello al quale si può spingere l’aumento dei prezzi.
Tuttavia, a livello più tattico e in chiave 2018, se guardiamo alla situazione dei salari in America, seppur vero che non stanno esplodendo il trend comincia a essere in aumento. Inoltre il dollaro ha perso terreno quest’anno, e gli effetti di questo rallentamento tendono a dispiegarsi con un lag di circa un anno. Se poi osserviamo anche i prezzi delle esportazioni di beni asiatici – in particolare in Cina e in Corea – vediamo che anche questi sono in aumento. Tutto questo ci porta a ritenere che l’anno prossimo l’inflazione Usa possa effettivamente diventare un cardine importante per gli investitori – certamente più di quanto non se ne stia parlando oggi.
La vostra view sull’inflazione americana si riflette nel volume dell’allocazione ai bond indicizzati all’inflazione (10,6% del fondo).
Abbiamo comprato bond inflation-linked da luglio/agosto in avanti concentrandoci sulla parte corta della curva, quindi anche se a livello di capitale abbiamo speso molto in termini relativi, in termini di sensitività ai tassi di interesse queste obbligazioni sono discretamente ben coperte. È un posizionamento in cui crediamo ancora molto perché riteniamo che i mercati stiano sottostimando quella che può essere una leggera accelerazione dell’inflazione negli Stati Uniti. Ecco perché abbiamo preferito questa scommessa sui linker, piuttosto che sui nominali.
Nei prossimi giorni è attesa la scelta del candidato alla presidenza della Fed. Quali sono le opzioni sul tavolo, e che riflessi possono avere sui mercati e sull’esposizione del fondo?
I nomi sul tavolo sono due: uno è Jerome Powell, che in questo momento ha il consenso maggiore a livello di operatori di mercato. L’altro è John Taylor, che ha un po’ meno consenso dietro di sé ma ha simili probabilità di essere nominato. La cosa importante è che se dovessimo vedere una Fed guidata da Taylor avremmo un rischio almeno nel breve termine (uno o due mesi) in cui i mercati potrebbero essere più volatili. Taylor sembra essere leggermente più interventista degli altri candidati, e inoltre non avrebbe la possibilità immediata di parlare ai mercati e chiarire quali sono le sue idee. In un cambiamento di leadership di questo tipo, senza avere un immediato riscontro da parte del nuovo governatore, le possibilità che i mercati correggano, soprattutto a livello di tassi di interesse, esiste. Questo aspetto va tenuto sotto controllo nelle prossime due settimane.
Gli emergenti sono tra le asset class meglio performanti dell’anno. Tra azionario (15,4%) e obbligazionario (4,3%), circa il 20% del fondo è investito in questi mercati. Dove trovate le migliori opportunità?
Sul lato degli emergenti continuiamo a preferire l’Asia, che rappresenta un posizionamento di consenso: tutto il mercato è spostato su quell’asse e anche noi continuiamo a supportarlo e averlo in portafoglio. Tutti gli investimenti legati all’attuale congiuntura del ciclo economico – dalla parte più esposta all’export di Taiwan o Corea, o relativi ai settori che beneficiano delle riforme in India – continuano ad avere il vento in poppa. Abbiamo anche una piccola posizione di A-shares sulla Cina, investimento che ha fatto molto bene quest’anno. Chiaramente è molto volatile e potrà esserlo ancora di più sulla base di come le nuove decisioni del plenum del partito comunista cinese saranno digerite nei prossimi mesi, ma è un investimento che va ancora tenuto d’occhio.
Anche sul lato del reddito fisso emergente, continuo ad averlo in portafoglio e a ritenere che in questo momento per un investitore europeo possa rappresentare un investimento strategico soprattutto se concentrato sui titoli governativi in valuta locale. Ma è un investimento che richiede pazienza: se è vero che ha delle buone potenzialità di carry, è altrettanto vero che ha quasi la stessa volatilità di un investimento azionario. Bisogna quindi essere preparati a digerire questa volatilità assumendo un orizzonte temporale che permette di fare profitto, invece di usarlo come posizionamento tattico. Anche sul lato corporate emergente siamo costruttivi, in particolare sul segmento asiatico investment grade.
Torniamo in Europa e più precisamente a Londra, dove lei è basato. Quali sono le prospettive dell’economia britannica in chiave Brexit, e quali saranno le prossime mosse della Bank of England, a partire dalla riunione sui tassi di giovedì 2 novembre, per far ripartire un’economia zavorrata da un’inflazione al 3%?
Nei prossimi mesi l’aspetto principale da considerare in chiave Brexit sarà la tenuta dell’economia britannica e quanto a lungo questa potrà rimanere resiliente. Fino ad ora si è comportata egregiamente, nonostante gli scenari pessimistici espressi prima del referendum. Lo ha fatto anche grazie al crollo verticale della sterlina. Detto ciò, non mi sarei atteso un cambiamento così repentino nel linguaggio della Bank of England (BoE), che come abbiamo visto dalle dislocazioni di Borsa delle ultime settimane ha sorpreso un po’ tutti gli investitori.
Col senno di poi, la BoE si è mossa bene: passato il referendum, sono intervenuti in modo massiccio nel fornire comfort ai mercati, hanno tagliato il costo del denaro sulla scorta di previsioni pessimistiche che alla fine non si sono realizzate. Ora però, con il crollo della sterlina e l’inflazione in rapido aumento, l’operazione corretta è quella di intervenire ritirando lo stimolo aggiuntivo post-Brexit, mossa che i mercati hanno già scontato in maniera complessiva.
Tuttavia, guardando al 2018, è difficile che l’outlook della BoE possa rimanere aggressivo, per cui la questione ormai non è più se decidono di rialzare i tassi a novembre, ma se continueranno con un certo numero di rialzi anche nel prossimo anno. La curva inglese dei tassi di interesse ha già scontato un secondo aumento nel 2018, ma visto che l’economia sta comunque rallentando non crediamo che Mark Carney possa spingersi molto oltre. Sulla base di questa visione di medio-lungo termine, le obbligazioni britanniche in questo momento offrono un buon valore, e nelle ultime due settimane abbiamo aumentato la nostra esposizione ai Gilts sulla scorta di questa view.
“Alla ricerca di ‘Alpha’” è la rubrica di FocusRisparmio.com dedicata a investimenti, mercati e all’attualità economico-finanziaria. Ogni lunedì, con l’aiuto degli esperti del settore, vengono messi sotto la lente i fatti recenti più significativi e gli appuntamenti che avranno effetti sul medio e lungo termine.
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