L’industria segna un calo annuo del 9,5% sui flussi in entrata ma si conferma in crescita nel lungo periodo. E raggiunge il decimo posto in Europa per investimenti. Eppure, pochi operatori esteri e troppo focus sulle operazioni pre-seed rallentano il passo. La fotografia nel report di P101
Il venture capital italiano non smette di crescere ma necessita di una maggiore spinta per colmare il gap che lo separa da quello di altri Paesi. È quanto emerso da ‘State of Italian VC’, il report realizzato dalla società di investimenti P101 per fare il punto sullo stato del settore e presentato a Milano il 25 febbraio. Stando infatti ai risultati dello studio, il nostro Paese è sì riuscito a raggiungere il decimo posto in Europa per investimenti realizzati negli ultimi cinque anni ma continua comunque a pesare meno del 5% sul mercato continentale e si trova in coda alla classifica degli impieghi pro-capite. Un dato che impone di riflettere anche sui settori verso cui si stanno orientando i maggiori flussi della Penisola, con il boom del deep-tech compensato dall’eccessivo focus sulle operazioni pre-seed.
Il venture capital italiano ai raggi X
Fonte: The State of Italian VC, P101
Crescita di lungo periodo
Scendendo nel dettaglio dei dati presentati dalla società, è possibile osservare come il venture capital italiano sia indubbiamente interessato da una dinamica di crescita sul lungo periodo. L’industria ha infatti investito in startup un totale di circa 8,6 miliardi di euro in dieci anni, il 467% in più del 194,3 milioni impiegati fino al 2015, dei quali ben 7 miliardi attengono all’ultimo quinquennio. Un risultato che si riflette anche sull’ecosistema in cui tali capitali si muovono, ampliatosi nel tempo fino a ricomprendere oltre 14mila società innovative tra startup (12mila) e PMI (2mila) ma anche 150 operatori dai 30 iniziali. Si tratta di realtà, viene sottolineato dal report, che negli ultimi 12 mesi hanno generato un valore della produzione pari a 8,6 miliardi di euro e occupato oltre 60mila persone: 40mila nelle realtà piccole ma giù affermate e 20mila in quelle appena affacciatesi al mercato.
Una fotografia positiva ma che rivela alcune sbavature quando si restringe l’orizzonte temporale dell’analisi. Se infatti gli investimenti europei sono arrivati a sfiorare i 60 miliardi nel 2024 attraverso 13.451 operazioni, cifra peraltro in calo del 22% rispetto alla rilevazione precedente, i risultati dell’Italia parlano di un gap ancora molto ampio: la Penisola è riuscita a mobilitare solo 1,1 miliardi, il 9,5% in meno del 2023, e ha ospitato il 25% in meno di deal, 628 per la precisione. Non solo. È vero che negli ultimi cinque anni il Paese ha guadagnato terreno e si è classificato decimo per investimenti tra tutti i suoi competitor UE, superando Stati come l’Austria (6 miliardi) e il Portogallo (5 miliardi), ma resta ancora lontano dalla Spagna (13,1 miliardi) e dalle tre capitali che continuano a dominare il mercato: Londra (114,2 miliardi), Parigi (50,6 miliardi), Berlino (48,8 miliardi). E anche sul fronte del capitale mediano investito in startup, che pure è raddoppiato nel giro di 12 mesi e quintuplicato dal 2015, il ritardo è lo stesso: 540mila euro contro rispettivamente un milione, 2 milioni e 3 milioni. Così come si conferma elevato anche in termini di impieghi pro-capite: appena 114 euro, cifra che restituisce a Roma il quart’ultimo posto sui 27 complessivi.
Un tema focus
Una delle ragioni che concorre a spiegare la forbice che ancora separa il nostro Paese dagli altri leader europei è il focus degli operatori locali, orientato a iniziative intrinsecamente poco idonee a veicolare una grande mole di capitale. Il report mostra infatti come l’Italia continui a essere il Paese con il maggior numero round pre-seed, quasi il 56% del totale, ma a fronte di un raccolta che si è fermata al 5% delle masse totali. D’altra parte, le operazioni late stage hanno rappresentato solo il 16% dei deal ma hanno assorbito il 69% degli 1,1 miliardi di euro investiti dal 25% del 2015. E se è vero che la Spagna mostra una struttura simile, Francia e Germania si caratterizzano un’allocazione più equilibrata così come l’Europa nel suo complesso. Un altro fattore che potrebbe incidere sul ritardo di Roma va poi rinvenuto nella scelta dei settori sui cui puntare da parte dei player di mercato.
Un altro fattore che potrebbe concorre al ritardo tricolore risiede negli strumenti in dotazione al settore. Nel 2024 in Europa sono stati raccolti oltre 20 miliardi di euro attraverso 228 fondi, di cui 17 hanno superato i 500 milioni di capitale mentre due hanno superato la soglia del miliardo, ma solo 15 di questi sono italiani. Nessuno ha inoltre superato i 250 milioni, contribuendo a un dato di raccolta che nel 2024 ha segnato un calo del 28% a 837 milioni di euro. E sebbene la Penisola abbia duplicato in dieci anni la sua capacità di raccolta, con 7,4 miliardi rastrellati da un complesso di 119 veicoli, il Paese rappresenta ancora una piccola frazione del totale europeo: basti pensare che, solo tra il 2020 e il 2024, il Regno Unito ha registrato afflussi per 47,4 miliardi di euro e la Germania per 18,9 miliardi. “Un aumento delle dimensioni dei fondi e il maggior traino degli investitori istituzionali saranno fondamentali per rafforzare la capacità di investimento in innovazione del nostro Paese e tenere il passo dei competitor”, viene evidenziato nel documento di P101.
E occorre diversificare gli investitori
Andrea Di Camillo, founder e managing partner di P101
Non poteva mancare infine una riflessione sulle criticità relative al numero e alla natura degli investitori. Sotto questo profilo, la fotografia scattata da P101 fa infatti emergere alcune peculiarità italiane: sono al 68,5% nazionali, contro i 43,8% ad esempio della Germania, e consistono prevalentemente in istituti bancari (20,3%) mentre le compagnie di assicurazione rappresentano solo il 3,5% degli impegni nei fondi rispetto al 15,9% della Francia. Si tratta di uno scenario che, unito a un coinvolgimento degli high-net-worth individuals fermo sul 2,8% e molto inferiori a quello di altri Paesi, evidenzia la necessità per il venture capital tricolore di accelerare la diversificazione proprio nell’ottica di aumentare la dimensione dei veicoli e la capacità di investimento in innovazione. Un’esigenza ribadita da Giacomo Valentini, head of International FoF di Cdp Venture Capital, e dal fondatore di P101 Andrea Di Camillo. “Occorre promuovere il coinvolgimento degli operatori internazionali”, ha detto il manager della Cassa. “Il mercato deve diventare più dinamico e cercare il supporto di capitali pazienti”, ha aggiunto il numero uno della società organizzatrice. Che ha precisato: “Questi capitali iniziano ad arrivare anche da oltre confine, da investitori consapevoli che è momento di investire sull’innovazione europea e che l’Italia può rappresentare un’opportunità perché l’ecosistema del venture capital ha oggi basi solide ed è entrato in una nuova importante fase di sviluppo”.
A livello di settori, nel 2024 è avvenuto un cambiamento strategico importante: si è cioè verificato un sostanziale riorientamento del capitale dall’economia digitale ad ambiti come sostenibilità, automazione e aerospaziario. Ecco allora che anche in Italia, si è registrata una rotazione dal trittico fintech-ecommerce-SaaS, capace di attrarre quasi cinque miliardi dal 2020, al deeptech, sui cui il Paese ha investito 693 milioni di euro (+14% sul 2023) candidandosi potenzialmente ad hub per le tecnologie di frontiera. Fanno parte di tale ambito il cleantech, il comparto più finanziato con 306 milioni di euro (+71%), la space technology con 161 milioni (+233% sul 23) e la robotica con 161 milioni (443%): tre segmenti che evidenziano tutti una crescita a tripla cifra sui cinque anni, a riprova della forte evoluzione dei trend di investimento. Ciò su cui invece ci discostiamo dagli altri Paesi, e che può essere interpretato come un ulteriore causa del gap rispetto alla scena internazionale, sono invece l’intelligenza artificiale e il machine learning. Mentre questi due settori risultano infatti i più investiti in Francia e Germania, dove sono stati destinatari rispettivamente di 2,9 e 1,7 miliardi, alle nostre latitudini raccolgono appena 155 milioni e si fermano al sesto posto: testimonianza di come le organizzazioni ancora fatichino a implementare l’uso degli algoritmi all’interno dei loro processi.
Milano capitale del Fintech, Roma dell’AI
Tra il 2020 e il 2024, il Nord-Ovest ha dominato il panorama italiano del venture capital grazie a risultati da record: capitali per 5,3 miliardi di euro, il 76% del capitale totale, e 1.900 operazioni portate a termine. Milano, con oltre 4 miliardi, è la città che in questa regione si conferma leader per gli investimenti nel fintech. Il Nord-Est si è assicurato invece 459 milioni di euro, prevalentemente collocati in SaaS o life sciences e cleantech, con Bologna come hub principale grazie ai suoi 89 milioni di euro. Il Centro ha attirato flussi per 796 milioni, trainati da Roma (295 milioni) e soprattutto dall’AI, mentre il Sud ha cumulato investimenti per 304 milioni, con i 95 milioni di Napoli a fare da guida e denotare una crescita promettente nella sanità digitale.
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