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A novembre l’indice dei prezzi al consumo centra le previsioni del mercato e cala al 3,1% dal 3,2% del mese prima. Lieve risalita per la componente core. Secondo gli analisti, il quadro macro va migliorando. Ma la banca centrale lascerà comunque invariato il costo del denaro in attesa di un rallentamento dell’occupazione
Prosegue per il secondo mese consecutivo la frenata dell’inflazione americana, che a novembre ha registrato un nuovo calo. L’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti è infatti sceso a 3,1% su base annua dal 3,2% di ottobre mentre l’indice core, cioè la metrica che esclude beni energetici e alimentari, è salito dello 0,3% dopo il +0,2% precedente. Una dinamica che, secondo gli asset manager, non smuoverà la Federal dalla volontà di lasciare invariati i tassi di interesse nella riunione di domani.
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Calano gli energetici, salgono gli alimentari
Il dettaglio dei dati mostra come l’indice core americano abbia registrato un rialzo del 4% rispetto a un anno prima, in linea sia con quello del mese precedente sia con le attese. I beni energetici sono deprezzati del 2,3% nell’arco di 30 giorni mentre quelli alimentari hanno subito un rincaro dello 0,2% e attualmente costano il 2,9% di quanto non fosse un anno fa.
Nessun cambiamento in vista per la Fed
Secondo Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, la dinamica del carovita è da ricondurre soprattutto ai prezzi dei beni energetici, che hanno subito una riduzione tendenziale del 5,4%. In generale, però, le rilevazioni non paiono all’esperto sufficienti influenzare sensibilmente la percezione dei mercati sulle prossime mosse di politica monetaria della Fed. Da qui, la previsione dell’esperto: Con l’inflazione core al 4%, non sussistono i presupposti per un taglio anticipato dei tassi da parte della banca centrale statunitense”.
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Più decisa la posizione di Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, che si è concentrato soprattutto sulla tenuta della componente di fondo anziché sulla discesa dell’indice generale dei prezzi. “Le pressioni disinflazionistiche mostrate negli ultimi mesi spingono per un cambio di rotta da parte della Fed ma molti banchieri centrali sono consapevoli che tagliare troppo presto il costo del denaro potrebbe comportare pressioni al rialzo sui prezzi”, ha notato. Il tutto senza dimenticare la tenacia dimostrato dall’economia e dal mercato del lavoro Usa, che contribuiscono ad allontanare ulteriormente la prospettiva di un ritocco anzitempo del costo del denaro. Ecco perché, dal suo punto di vista, “è ampiamente previsto che Powell possa decidere di mantenere invariati i tassi di interesse nel range 5,25%-5,50%”.
Della stessa opinione Franck Dixmier, global cio della divisione Fixed Income di Allianz Global Investors. “Gli ultimi dati confermano come la Fed abbia raggiunti il picco ma, nonostante il quadro incoraggiante che contribuiscono a dipingere, continuiamo a prevedere che la banca centrale manterrà fermi i tassi di interesse di riferimento nella prossima riunione di politica monetaria”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Powell vorrà vedere un ulteriore raffreddamento dei dati sul lavoro prima di iniziare ad allentare le maglie della politica monetaria e probabilmente invierà un messaggio di pazienza ai mercati”.
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