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Il Rapporto Censis-Assogestioni sulle ‘inconsapevolezze nascoste’, presentato nella giornata conclusiva del Salone 2023, mostra come il contante nel portafoglio delle famiglie sia calato di 20 miliardi di euro. Ma per far crescere il risparmio serve scardinare le false conoscenze ed educare
Per la prima volta dopo almeno un decennio, l’arrivo dell’inflazione ha reso meno allettante la scelta di tenere il contante fermo sui conti correnti e sempre più famiglie hanno compreso la necessità di scongelare parte del proprio cash per destinarlo a impieghi alternativi. La premessa perfetta per una stagione di crescita del risparmio gestito, se non fosse che l’italiano medio ha ancora una scarsa educazione alla gestione del denaro ed è preda di bias capaci perfino di condurlo a scelte autolesionistiche. Ecco allora che diviene fondamentale promuovere con forza l’educazione finanziaria non solo come volano di consapevolezza del cliente ma anche e soprattutto come strumento empowerment del cittadino e di sviluppo sociale.
È questa la lunga riflessione sviluppata nella conferenza conclusiva del Salone del Risparmio 2023, l’evento ormai diventato punto di riferimento per l’industria tricolore. Un confronto che ha visto il Segretario Generale del Censis, Giorgio De Rita, e il Direttore Ufficio Studi di Assogestioni, Alessandro Rota, presentare la quarta edizione del Rapporto congiunto sulle incompetenze nascoste, cioè le presunte conoscenze che le persone si attribuiscono ma che si rivelano insufficienti o fuorvianti o addirittura errate.
Cash, la stagione volge al termine
Il punto di partenza della discussione è stata, appunto, la nuova tendenza nelle scelte di impiego delle proprie risorse da parte dei risparmiatori. “Nel 2022 il contante nel portafoglio finanziario delle famiglie italiane si è ridotto di oltre 20 miliardi di euro rispetto all’anno precedente: -1,6% in termini reali”, ha spiegato De Rita. Che ha precisato: “Nel mese di marzo 2023, il valore dei depositi sui conti correnti bancari è diminuito del 6,1% rispetto a 12 mesi prima”. Un fenomeno dalla spiegazione semplice, secondo il sociologo. “L’inflazione ha ridimensionato l’attrattività del contante, che nei dieci anni precedenti era aumentato complessivamente di quasi 470 miliardi di euro (+61,8%). Tanto che oggi quattro risparmiatori su dieci dicono di aver cambiato idea su come usare i risparmi e il 33% dei consulenti finanziari registra una maggiore propensione dei clienti a liberarsi della liquidità”.
Il nodo della (dis)educazione
Se l’intenzione di riallocare il cash in portafoglio promette di aprire una stagione di decisioni sul risparmio, De Rita non può che constatare come le competenze del pubblico riguardo investimenti e processi economici siano molto deboli. E l’evidenza viene proprio Rapporto, che ha somministrato quattro quesiti per verificare la reale conoscenza dei concetti alla base delle scelte di investimento. “Il 40,9% del campione ha dimostrato di non conoscere l’effetto dell’inflazione sul potere d’acquisto dei redditi, il 35% non sa come opera il tasso di interesse attivo su un conto corrente, il 47,8% non comprende gli effetti del tasso di interesse passivo su un prestito bancario, il 41,6% non sa distinguere tra azioni e obbligazioni”. Un quadro che non migliora neppure considerando le domande nel loro complesso: il 26,2% degli italiani ha risposto correttamente a due quesiti mentre il 16,2% ha risposto correttamente a uno solo e il 9,1% a nessuno.
Ma il problema non si ferma alla carenza di conoscenze, perché sullo sfondo restano le illusorie competenze. “Tra le persone che dichiarano di sapere che cos’è l’inflazione, quattro su dieci non sanno che riduce il potere d’acquisto dei redditi. Si tratta del 34,2% dei laureati, del 38,2% dei diplomati e del 63,2% di chi detiene titoli di studio più bassi”, sottolinea De Rita. E ancora: “Nel gruppo di coloro che pensano di avere adeguate nozioni finanziarie, il 25,4% ha risposto bene a due quesiti a fronte del 15,4% che ne ha centrato un solo e del 7,1% a che li ha sbagliati tutti”. In altre parole, il gap tra ciò che i risparmiatori sono convinti di sapere e quanto sanno veramente è ampio. Si tratta delle incompetenze nascoste, che favoriscono tanto comportamenti finanziari dannosi quanto una scarsa predisposizione all’educazione. Anche qui, le dimensioni del fenomeno vengono restituite puntualmente dal Rapporto. Il 40,2% di chi si attribuisce adeguate conoscenze finanziarie ha sperimentato perdite sui propri investimenti mentre la quota si riduce al 29,8% tra coloro che è consapevole di avere delle lacune. In maniera analoga, il 14,3% del primo gruppo è pronto a prendersi alti rischi per ottenere subito rendimenti elevati mentre nel secondo questa componente si riduce al 7,9%.
C’è poi anche il fattore irrazionale, che nel rapporto con risparmio e investimenti è ancora molto diffuso. Il 37,4% dei risparmiatori pensa che gli investimenti remunerativi siano dovuti solo al caso, che i rendimenti dipendano dalla fortuna. “E lo pensa il 43,9% di chi è in possesso di un basso titolo di studio ma anche il 39,2% dei diplomati e il 32,5% dei laureati”, chiarisce De Rita. Che conclude: “Per tanti risparmiatori investire è come giocare al superenalotto: conta solo la buona sorte”.
Un atteggiamento prudente. Fin troppo
Il complesso insieme di cattive abitudini e scarse conoscenze messo in luce dal Rapporto, si ripercuote anche sull’attitudine con gli italiani compiono le loro scelte. Per il 55,9% dei consulenti finanziari intervistati il termine che descrive meglio lo stato d’animo attuale dei loro clienti è infatti “cautela”. Fin troppa però. Perché l’espressione viene subito prima di “disorientamento” (40,0%), “ansia” (24,3%) e “speranza” (16,5%). Una chiave con cui si potrebbe leggere, ad esempio, il dato dell’Osservatorio sottoscrittori di Assogestioni sul forte legame che ancora lega il sottoscrittore retail di fondi comuni all’asset class obbligazionaria.
Il nodo formazione e come svilupparla
In un quadro di questo tipo, ecco assumere ancora più enfasi il ruolo dell’educazione finanziaria. “Per risolvere il problema delle incompetenze nascoste, occorre scardinare il cortocircuito che coinvolge la consulenza finanziaria e l’educazione. Chi è troppo confidente nelle proprie conoscenze finanziarie tende, infatti, a rivolgersi meno ai consigli di un professionista mentre chi possiede delle vere conoscenze si affida di più agli esperti. Fondamentale è, quindi, colmare gap tra percepito e reale”, ha detto Rota. Per poi aggiungere: “Oltre al ruolo delle istituzioni, c’è anche un tema di impegno e responsabilità individuale. In questo senso, il nostro Osservatorio sottoscrittori manda segnali positivi: sono 11,5 milioni gli italiani che investono in fondi. Ciò significa che oggi un cittadino su cinque utilizza uno strumento di investimento che impone, per sua natura, un approccio alla diversificazione, alla programmazione e all’investimento professionale”.
Quello dei consulenti è un tema che ricorre anche nella prospettiva del presidente di OCF, Mauro Marino, che ha partecipato alla tavola rotonda andata in scena subito dopo il dialogo tra Rota e De Rita. “Il consulente non è più solo un venditore ma funge sempre più anche da ambassador e coach, ha detto. Non è mancata neppure una sottolineatura al ruolo che l’ente di vigilanza svolge nel certificare la qualità dell’informazione finanziaria, altro tasto giudicato dolente da Marino.
Per Alessandra Staderini, vice Capo Servizio Educazione finanziaria presso Banca d’Italia, il nodo della questione è la centralità della scuola: “Come Bankitalia e come membri del Comitato di educazione finanziaria nazionale crediamo molto nel valore di insegnare i concetti base della finanza già dagli istituti primari”, ha dichiarato, spiegando che Palazzo Koch vanta 38 filiali locali in cui si offrono seminari formativi ai docenti per insegnare a trasmettere le nozioni alle classi.
Stefano Lucchini, presidente FEduF, ha invece posto l’accento soprattutto sulla stampa. “La linea di confine tra presunzione e maleducazione finanziaria sta nella cultura. Voglio dire che quando ci auto-valutiamo spesso siamo più negativi di altri Paesi. Tanti progressi sono già stati fatti sul terreno dell’educazione finanziaria e un ruolo centrale nel trasmetterli devono ora giocarlo i media”.
Il riferimento ai passi già compiuti non può non tener conto anche del disegno di legge Capitali, su cui si è lungamente soffermato l’intervento del Senatore di Forza Italia Dario Damiani. Si tratta di una misura che è stata acquisita al Senato e sta iniziando il suo percorso in Commissione finanze. “Nel corso dell’attuale legislatura, ho presentato un disegno di legge che aggancia l’educazione finanziaria all’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole e uno sull’autonomia curriculare dell’educazione finanziaria stessa. Entrambi sono confluiti nel provvedimento del Governo, con la conseguenza che presto negli istituti italiani si trasmetteranno le nozioni di base della finanza”, ha detto Damiani.
A fornire il trait d’union dei vari punti di vista è stato Saverio Perissinotto, presidente del Comitato Edufin Assogestioni ma anche amministratore delegato e direttore generale di Eurizon Capital. “Oggi, in Italia, c’è un livello di conoscenza finanziaria che può e deve essere migliorato per tutte generazioni. A questo si aggiunge un’oggettiva complessità tecnica legata al mondo della finanza”, ha detto Perissinotto. Che ha aggiunto: “Per risolvere il problema, tutte componenti dell’industria stanno facendo la loro parte: dalle istituzioni alle autorità di vigilanza fino alla stessa Assogestioni, che sta portando a realizzazione il progetto iniziato un anno fa con l’obiettivo di fornire maggiore consapevolezza finanziaria a tutti. Ultimo passo di questo sforzo condiviso è il Decreto Capitali, con cui si raggiunge l’importante traguardo di rendere l’educazione finanziaria materia di studio”.
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