Fed, per i gestori Powell aspetterà ancora: occhi su settembre (e sul dot plot)
I mercati non si aspettano tagli dei tassi prima della fine dell’estate. Ma prende piede l’ipotesi che il Fomc possa poi procedere con due riduzioni consecutive
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La corsa dell’oro è arrivata lontano. Dalla svolta di inizio 2024, i prezzi sono saliti di oltre mille dollari l’oncia e nei primi mesi di aprile hanno toccato addirittura quota 3.150 dollari. Un rally che ora potrebbe trarre ulteriore slancio dalle politiche di Donald Trump, le cui decisioni hanno aumentato le probabilità di recessione per l’economia USA e rischiano di rendere più radicali le prossime mosse della Federal Reserve in materia di tassi. Ne è convinto in particolare James Luke, fund manager di Schroders per la divisione Metalli. Secondo l’esperto, infatti, le quotazioni del lingotto non solo sono in ascesa ma promettono di superare ampiamente la soglia dei 5mila dollari entro cinque anni. La redazione di FocusRisparmio lo ha raggiunto per approfondire la sua view.
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Il nostro team di economisti stima che l’impatto dei dazi del Liberation Day sul carovita statunitense sia pari al 2%, con effetti sulla crescita di quasi l’1% senza considerare eventuali misure di ritorsione da parte degli altri Paesi. Ciò significa che quella di Trump è un’agenda ciclicamente stagflazionistica. E se è vero che la stagflazione può rivelarsi dolorosa per gli asset di rischio, tende invece a essere molto favorevole per l’oro. Ma il supporto del tycoon al lingotto va ben oltre questa dinamica. Proponendo tariffe basate sull’entità dei deficit anziché su vere e proprie barriere doganali, Trump sta chiarendo che gli Stati Uniti non vogliono il libero commercio ma un commercio equilibrato. Questo rifiuto dei deficit è sì una lotta alla globalizzazione, ma può anche essere visto come il tentativo di smantellare il regime monetario incentrato sul biglietto verde sotto il quale l’economia globale ha vissuto dagli anni Settanta. Un assalto che, nel momento in cui ci si chiede quanto siano sicuri gli asset in dollari o quanto siano rosee le prospettive economiche USA, rischia di produrre significativi flussi di rimpatrio e lascia quindi come unica alternativa proprio il metallo giallo.
Le banche centrali hanno svolto un ruolo importante nel mercato toro dell’oro, con una domanda di oltre 1.000 tonnellate in ciascuno degli ultimi tre anni ma soprattutto con volumi di acquisto effettivi ancor più alti. Crediamo che un simile apporto si registrerà anche in futuro, perché tutti i fattori che hanno favorito l’offerta negli scorsi mesi sembrano destinati a permanere. Da sempre debito sovrano molto elevato e disavanzi interni insostenibili sul lungo periodo formano un cocktail che porta alla svalutazione della moneta, all’inflazione e al dominio fiscale. Queste tendenze hanno il potenziale per creare una situazione in cui diverse sacche di capitale globale tentano di acquistare l’oro, in quanto metallo monetario sicuro. Ma il mercato non è abbastanza grande per assorbire una tale richiesta globale simultanea senza un aumento significativo dei prezzi, a maggior ragione considerando che Trump sta rinunciando al ruolo degli USA come emittente di valuta globale e rigettando l’ordine globale del secondo dopoguerra.
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Ci aspettiamo di vedere un’ulteriore diversificazione delle riserve di valute fiat. Lo spostamento delle riserve di questi soggetti verso l’oro è stato infatti finora meno consistente di quanto si possa credere: il rapporto oro/riserve totali è salito di circa otto punti percentuali dal 2021 e ha raggiunto il 20% a marzo scorso. Ciò significa che il metallo giallo, alle latitudini in esame, è ancora poco detenuto come asset di riserva ufficiale. Un’altra riprova di questa circostanza arriva dal paragone confronto con geografie limitrofe. Russia, Turchia e un piccolo di gruppo di Paesi dell’Asia centrale detiene già più del 20% delle riserve in lingotti: se ipotizziamo che questa soglia sia considerata un obiettivo ragionevole a medio termine per ragioni geopolitiche, per raggiungerla le banche centrali dei Paesi emergenti dovrebbero aumentare di 2,5 volte la loro domanda rispetto al 2024. Si tratta chiaramente di un livello insostenibile, a meno che non avvenga nell’arco di più anni o a prezzi della materia prima molto più alti.
L’attività di M&A rimane un tema importante per il settore ma, nonostante sia in ripresa, siamo ancora lontani da livelli esuberanti: i team di management non stanno inseguendo la crescita a tutti i costi e non stanno pagando premi esorbitanti o aggiornando sostanzialmente le ipotesi di prezzo delle riserve, come è accaduto in passato. Con i forti margini e la generazione di free cash flow che l’industria riesce a realizzare, vediamo piuttosto una generale tendenza a tenere approcci equilibrati sia sui ritorni per gli azionisti sia sulla crescita. Un maggiore fermento potrebbe semmai esserci nel momento in cui i produttori cercheranno di aggiungere profili di produzione a lungo termine. E, se ciò dovesse accadere, i segmenti in cui le aggregazioni rappresenteranno un catalizzatore significativo di valore saranno quelli di livello medio o junior e quelli degli sviluppatori o esploratori. Si tratta di un’area del mercato in cui continuiamo a vedere valutazioni convincenti, con gli operatori che scambiano ancora vicino ai minimi storici su base EV/Resource in once.
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Considerando il ruolo giocato dalle banche centrali e la forte domanda globale di investimenti, è probabile che i prezzi saliranno per stimolare l’aumento dell’offerta di oro riciclato e la distruzione della domanda di gioielli necessari a riequilibrare il mercato. Ma si tratta comunque di una previsione al ribasso. La produzione delle miniere non sarebbe infatti in grando di rispondere rapidamente nemmeno a prezzi molto più alti perché, nonostante i prezzi già da record, l’offerta è sostanzialmente ferma ai livelli del 2018. Ecco perché crediamo che 5mila dollari all’oncia entro la fine del decennio rappresenti uno scenario conservativo.
Un’allocazione sui titoli auriferi resta al momento l’opzione preferibile. I prezzi della commodity al picco storico stanno infatti sostenendo i margini dei produttori, mentre le valutazioni azionarie viaggiano sui minimi ormai da decenni. Il mercato abbonda inoltre di società con tutte le dinamiche necessarie a sovraperformare le quotazioni dell’oro sottostante: buoni bilanci, costi sotto controllo, un’ottima gestione, un free cash flow che consente di distribuire dividendi e riacquistare azioni, un aumento del VAN e multipli del flusso di cassa estremamente ridotti. Alla luce di questi fattori, ci aspettiamo che la categoria registri un rally del 50% da qui in poi e risulti ancora poco costosa.
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