Secondo un’analisi Intermonte-PoliMi, i comparti domestici sono poco presenti sul Ftse Mib: la loro quota si ferma al 10%. Va meglio su Ftse Italia Mid Cap (20%) e Ftse Italia Small Cap (30%) grazie all’effetto Pir
I fondi italiani investono poco sul mercato tricolore e preferiscono le small cap. Tanto che negli ultimi 15 anni hanno avuto una presenza sostanzialmente stabile nelle blue chip mentre si sono rivelati più attivi nei segmenti a minore capitalizzazione. È quanto rivela il bilancio tracciato da Intermonte e PoliMi, che hanno passato al setaccio la presenza degli istituzionali domestici e stranieri sul listino milanese, evidenziando come la presenza degli operatori locali sia tutto sommato esigua rispetto a quanto avviene altrove.
Sul FTSE MIB negli ultimi anni la quota di veicoli nostrani è rimasta intorno al 10% degli investimenti complessivi degli istituzionali, scendendo all’8% nel 2023. Ben al di sotto di Francia e Germania, dove il peso dei fondi domestici è rispettivamente del 25% e del 26%. E simile a quella della Spagna, ferma all’8%. Diverso il discorso per mid e small cap, dove questi strumenti incidono maggiormente grazie anche alla spinta dei PIR dal 2017 in avanti. Per le aziende a media capitalizzazione pesano circa il 20% (rispetto a una media pre-Pir del 15%) mentre sulle piccole sono arrivati a un massimo del 34% nei primi anni d’introduzione dei piani individuali di risparmio, per poi stabilizzarsi intorno al 30%.
Ai fondi Usa piacciono blue chip e small cap
A livello generale, le strategie messe in atto negli ultimi 15 anni dai fondi sul mercato italiano si sono rivelate eterogenee. Nel caso delle blue chip, gli investimenti totali sono cresciuti fino al 2018 e poi hanno cominciato a calare. Negli altri due indici la loro presenza è invece rimasta abbastanza stabile. Il 2022 e il 2023 si caratterizzano per una certa debolezza nella capacità del listino azionario italiano di attrarre investitori, con l’unica eccezione delle mid cap.
I comparti nordamericani ricoprono un ruolo importante e paragonabile a quello degli europei sul FTSE MIB, con gli ETF che hanno parzialmente rimpiazzato gli strumenti a gestione attiva. Restano invece più defilati sulle mid cap, dove prevalgono gli investitori del Vecchio Continente. Tuttavia, sono molto presenti sulle small cap, dove anche i fondi ‘attivi’ USA hanno registrato un incremento delle partecipazioni. Da segnalare lo spazio guadagnato dai fondi passivi: marginali nel 2007, ora hanno raggiunto il 26% del totale sul listino principale e in ordine il 16% e il 10% per le aziende a media e a piccola capitalizzazione.
Milano tra capitalizzazione in calo e performance ottime
La ricerca sottolinea poi che, nonostante l’incremento complessivo del numero di quotate, il listino azionario italiano mostra oggi un rapporto capitalizzazione su PIL inferiore rispetto a quello precedente alla crisi finanziaria del 2008-2009, con diversi miliardi di euro andati in fumo a causa dei frequenti delisting (2,8 miliardi solo 2023). Ma risalta la buona performance messa a segno negli anni, forse non sempre colta correttamente dal mondo degli investitori. Dall’introduzione dei PIR, ovvero negli ultimi sei anni, il FTSE Italia MIB storico ha segnato +37%, il FTSE MIB +39%, il FTSE Italia Mid Cap +5% e il FTSE Italia Small Cap +20%. Negli ultimi 15 anni, i risultati sono state rispettivamente: +84%, +56%, +159% e +39%.
Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte
Per Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte, l’attrattività della piazza italiana nei confronti degli investitori istituzionali è un tema di grandissima attualità. L’esperto mette in evidenza il ruolo chiave di questi soggetti nello stimolare il mercato creando spessore, vitalità ed efficienza. “Apportano liquidità, sono profili ‘stabili’ e svolgono un ruolo di monitoraggio e di ‘stewardship’ nei confronti delle imprese partecipate, spronandole a migliorare i propri risultati finanziari e non”, fa notare. Secondo Giancarlo Giudici, professore ordinario della School of Management del PoliMi, per rilanciare in generale il ruolo dei fondi è necessario favorire la nascita di comparti specializzati sulle imprese più piccole. “Ma soprattutto stimolare quanto possibile gli investimenti del sistema produttivo attraverso riforme incisive sull’attrattività del ‘fare business’ in Italia”, evidenzia.
I fondi e il Ftse Mib
Più nel dettaglio, per quanto riguarda i flussi d’investimentoe disinvestimento degli ultimi 15 anni da parte dei fondi sulle blue chip del FTSE MIB, si notano due momenti particolarmente negativi: il primo trimestre 2013 (che segnò la fine del governo Monti e le elezioni anticipate) e il secondo trimestre del 2020 (con l’acuirsi della pandemia).
Gli investimenti sulle 30 ‘anziane’ del Ftse Mib
Confronto tra il valore aggregato degli investimenti dei fondi provenienti da alcuni Paesi per le 30 aziende sempre presenti nell’indice dal 30/06/2007. In evidenza i periodi di maggiore volatilità sul mercato. Fonte: Intermonte-PoliMi su dati FactSet
Quanto alla presenza dei fondi a seconda della nazionalità e il peso attribuito a ogni Paese o area geografica, si segnala che gli investitori nordamericani sono arrivati a un testa a testa con i colleghi europei. Un fenomeno dovuto soprattutto ai comparti ‘passivi’, che nel complesso arrivano al 26% degli asset degli investitori istituzionali nel 2023: dal 2020 si osserva infatti una fuga dei fondi attivi, mentre cresce in maniera progressiva il peso degli ETF.
Ftse Mib, titoli storici e attuali a confronto
Rapporto medio fra quota di proprietà dei fondi e quota dei soggetti insider. Fonte: Intermonte-PoliMi su dati FactSet
La presenza degli italiani è sostanzialmente stabile, intorno al 10% dal 2017, ma rimane comunque minoritaria. In particolare, dopo avere sfiorato la soglia di 2 miliardi di euro a fine 2021, dall’anno successivo si è assistito a un arretramento (con una quota all’8% nel 2023). Questa rilevazione colloca il nostro Paese al quarto posto nella graduatoria del FTSE MIB, tallonato dal resto del mondo, con Asia/Pacifico che oramai sfiorano il miliardo di euro. Gli altri Stati europei portano un contributo abbastanza stabile.
I fondi e il FTSE Italia Mid Cap
Per quanto riguarda le mid cap, la presenza dei fondi è minore rispetto al listino principale. Relativamente ai trend d’investimento nel corso del tempo, si osserva un flusso molto negativo nel secondo trimestre del 2010 (legato al disinvestimento di Blackrock da Mediaset, oggi MFE, ed altri casi simili) e nel primo trimestre del 2022 (in corrispondenza dello scoppio della guerra fra Russia e Ucraina). In merito alla nazionalità e al peso attribuito a ogni Paese o area geografica, si osserva un aumento costante del ruolo degli europei ma anche un contributo stabile dei fondi americani soprattutto grazie agli ETF: la loro incidenza è infatti cresciuta sensibilmente e li ha portati a valere il 16% dell’apporto totale.
Gli investimenti sulle mid cap ai raggi X
Confronto tra il valore aggregato degli investimenti dei fondi provenienti da alcuni Paesi per le 31 aziende sempre presenti nell’indice dal 30/06/2007. In evidenza i periodi di maggiore volatilità sul mercato. Fonte: Intermonte-PoliMi su dati FactSet
Gli italiani si sono contratti fino a metà 2012 per poi dare il via, come nel caso del Ftse Mib, a un trend positivo che è arrivato alla fine del primo semestre 2021 e si è stabilizzato in seguito. Nel 2023 il peso dei fondi domestici sul segmento è stato del 19%. Grazie anche all’introduzione dei PIR, gli operatori di casa hanno quindi stabilmente incrementato la loro quota nel FTSE Italia Mid Cap e si sono portati davanti al Regno Unito. Gli altri Paesi europei sono stati di gran lunga i primi investitori, fino a raggiungere il picco nel giugno 2021. Da quel momento è seguito un ciclo meno ottimistico. Anche nel FTSE Mid Cap, i fondi asiatici stanno migliorando la loro posizione.
I fondi e il Ftse Italia Small Cap
Infine, nel FTSE Italia Small Cap si osserva una presenza di fondi molto meno rilevante rispetto agli altri due segmenti. Relativamente ai flussi, nel corso del tempo si notano infatti variazioni molto contenute e distribuite in maniera abbastanza casuale. Sono soprattutto i fondi europei ad avere alleggerito nel tempo le loro posizioni nelle imprese a minore capitalizzazione. Al contrario, i colleghi nordamericani si dimostrano investitori costanti e, a eccezione di un ribasso registrato nella seconda metà del 2016,hanno registrato un piccolo ma importante aumento nei primi mesi del 2023. Dal 2020 sono i primi investitori in Small Cap italiane mentre è ancora marginale il ruolo dei fondi ‘passivi’ (10%), considerando la minore liquidità e replicabilità di quest’indice. Infine, nel 2023 si sono timidamente affacciati sul mercato anche i veicoliasiatici. L’introduzione dei PIR ha stimolato l’investimento dei fondi domestici nel FTSE Italia Small Cap, soprattutto nei primi anni dell’iniziativa. Nell’ultimo periodo, però, si è registrata una stabilizzazione intorno al 30% (28% nel 2023).
Come vanno le small cap
Confronto tra il valore aggregato degli investimenti dei fondi provenienti da alcuni Paesi per le 59 aziende sempre presenti nell’indice dal 30/06/2007. In evidenza i periodi di maggiore volatilità sul mercato. Fonte: Intermonte-PoliMi su dati FactSet
In sintesi, fra i tre listini analizzati, il FTSE Italia Small Cap è quello che ha sofferto di più l’emorragia d’investitori, soprattutto europei. Inoltre, analizzando il segmento dalla nascita dei PIR, emerge che attraverso i Piani individuali di risparmio gli italiani hanno convintamente indirizzato i flussi verso il settore mid cap rispetto allo small cap. La presenza dei fondi nelle small cap rimane ridotta, con l’unica eccezione di quelli nordamericani, che ormai stanno superando per valore gli europei. Intanto cresce il ruolo degli ETF, anche se resta ancora marginale (siamo al 10% del mercato dei fondi). Il valore degli investimenti dei fondi nelle imprese a bassa capitalizzazione appare quindi deludente rispetto al potenziale e testimonia la mancanza di veicoli specializzati sulle piccole aziende, soprattutto in Italia.
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