Le grandi famiglie ci hanno già pensato trasferendo i capitali, legalmente, in banche deposito oltreconfine, approfittando delle imposte sulla successione e valutando strutture societarie
Il rischio patrimoniale avanza ma i grandi capitali sono già oltreconfine (legalmente) e per quelli rimasti in Italia le grandi famiglie lavorano a strutture societarie dove far confluire la ricchezza personale, provando così a mitigarne gli eventuali effetti. È questo quanto emerso dal webinar organizzato da Grant Thornton “Imposta patrimoniale: un outlook internazionale”, condotto da Alessandro Dragonetti, managing partner e head of tax di Bernoni Grant Thornton, a cui sono intervenuti Jacopo Corradi, managing director di Azimut Capital Management e Bruno Aratri, amministratore delegato di Fiduciaria Aletti.
“Di rischio patrimoniale si sente parlare da anni. Tuttavia, oggi la possibilità che venga varata una patrimoniale, ovvero un’imposta (non è una tassa) sulla ricchezza degli italiani, è più concreto rispetto all’epoca pre-Covid”, esordisce Dragonetti. A giudizio dell’esperto il vertiginoso aumento del debito pubblico (al 134,8% del Pil già a fine 2019) a cui corrispondono drammatiche previsioni di Pil (sul 2020 le stime più ottimistiche rispetto al prodotto interno lordo vedono un rallentamento del 9,2%, le più pessimistiche parlano di un crollo del 13,1%) da un lato e dall’altro l’enorme ammontare della ricchezza privata detenuta dalle famiglie italiane (9743 miliardi di euro) in prevalenza (al 59%) per di più in attività “reali” (immobili, terreni, eccetera) e quindi meno soggetta alla volatilità, fanno sì che si possa parlare di “rischio elevato” di patrimoniale in vista.
Ufficialmente, come spiega l’esperto, in Italia vi sono stati solo due casi di patrimoniale, quanto meno nella storia recente: nell’immediato primo dopoguerra, nel 1920 (con aliquote progressive, oltre una soglia minima di patrimoni, dal 4,5% al 50%, il versamento ripartito in 20 rate annuali e la possibilità di riscattare tutte le annualità residue al 6% annuo) e sotto il governo di Giuliano Amato nel 1992 quando il governo mise le mani sullo 0,6% detenuto sui conti correnti degli italiani.
L’imposta patrimoniale è tra le più odiate e temute considerando che colpisce una ricchezza già tartassata alla fonte come reddito, anche per questo i casi più o meno sotterranei di patrimoniale tricolore prendono altri nomi. Si va dall’Imu, l’imposta sugli immobili detenuti sul territorio nazionale (ad eccezione delle prime case), all’imposta di bollo sui conti correnti e sulle gestioni patrimoniali, ai corrispettivi esteri (Ivie sugli immobili oltreconfine e Ivafe sui conti correnti e investimenti finanziari esteri), ma a ben vedere anche le imposte di donazione e successione, e le imposte di registro, ipotecarie e catastali sui trasferimenti di ricchezza sono da considerarsi imposte sulla ricchezza degli italiani.
E anche nel Vecchio Continente è in vigore un’imposta che colpisce l’intero patrimonio delle famiglie solo in tre casi: Norvegia, Spagna e Svizzeri. La stessa Francia ha abolito dal 1° gennaio 2018 l’imposta patrimoniale fino ad allora vigente, introducendo al suo posto un’imposta che colpisce la ricchezza immobiliare superiore al 1° gennaio agli 1,3 milioni di euro. In Lussemburgo infine, dove il numero delle imprese supera di gran lunga quello delle famiglie, è in vigore un’imposta il cui ambito di applicazione è limitato alle società.
Il fatto è che con il deterioramento dello scenario economico, l’aggravarsi della situazione finanziaria degli italiani e l’allargamento delle disuguaglianze, emerge sempre di più la possibilità, come sottolineato da Aratri, che si passi dalla tassazione dei consumi a quella dei patrimoni, nonostante si tratti di una strada impopolare abbandonata anche dalla Francia.
“Clienti e famiglie con patrimoni importanti, che fino a qualche mese fa erano preoccupate del rischio Paese, si aspettano una patrimoniale, anche se non ci sono timori per iniziative, per così dire, mastodontiche”, commenta Corradi che poi aggiunge: “I clienti ci stanno contattando. Ci chiedono di interfacciarci con i loro professionisti per mitigare gli effetti di una possibile patrimoniale costruendo, ad esempio, strutture per spostare il patrimonio da personale a societario perché ritengono, e noi siamo d’accordo, che sia più difficile attaccare le imprese”. In questo contesto diventa ancora più rilevante, a giudizio dell’esperto, “la gestione patrimoniale integrale e una programmazione dal punto di vista successorio, tanto più che l’Italia, da questo punto di vista, è quasi un paradiso fiscale”.
Quanto a un eventuale rischio di fuga dei capitali oltre confine, in realtà. come evidenzia Corradi, i grandi patrimoni hanno già da tempo e nelle forme consentite dalla legge, trovato sede nelle banche depositarie straniere. Il rischio Paese infatti è stato tra i timori maggiormente avvertiti degli ultimi anni. Se poi i capitali depositati all’estero possano o meno essere toccati da future patrimoniali è tutto da scoprire. Le patrimoniali possono avere forme molteplici e applicazione universale andando quindi a colpire qualsiasi attività, comunque e ovunque detenute, dai cittadini. Tutto sta alle norme di legge che le regolano. L’ultima patrimoniale vista in Italia, quella del 1992, ha messo nel mirino l’asset più semplice: i conti correnti, dove tutti coloro che non dispongono di grandi patrimoni accumulano risparmi per far fronte a ogni eventualità.
Nel frattempo, conclude Dragonetti, è bene iniziare a familiarizzare con l’idea di una patrimoniale e, al posto di chiedersi inutilmente quale forma potrà adottare, cambiare approccio alla gestione dei propri patrimoni privilegiando scelte che comportino comunque un beneficio (avvantaggiandosi ad esempio sull’attuale imposta sulle donazioni) e percorrendo strade più strutturate e articolate per proteggere il proprio patrimonio, prevenire i conflitti generazionali e tutelare i più bisognosi.
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