Consulenti finanziari, le responsabilità familiari frenano le professioniste
Anche nella consulenza è forte il divario di genere per quanto riguarda prospettive, reddito e soddisfazione lavorativa. La ricerca Bocconi per Anasf e Jp Morgan AM
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Cresce il numero dei family office in Italia ma crescono anche le sfide all’orizzonte per le dinastie d’impresa. È quanto emerge dall’osservatorio annuale sulla categoria realizzato dal Politecnico di Milano, secondo cui i 219 operatori che oggi animano il settore sono chiamati a ripensare la governance familiare e pianificare la continuità dei patrimoni all’insegna di un nuovo paradigma: la proprietà responsabile. Un’esigenza resa impellente da una circostanza su tutte: negli ultimi dieci anni, gli eventi di liquidità sono valsi 300 miliardi di euro ma in un terzo dei casi manca o è mancato l’interesse della Next Gen a raccogliere il testimone dai genitori.
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Il punto di partenza dello studio, presentato il 28 settembre e promosso dalla School of Management dell’ateneo lombardo in collaborazione con il Centro di Family Business Management della Libera Università di Bolzano, consiste in una mappatura del comparto che viene effettuata sulla base di interviste dirette e due focus group con diversi stakeholder italiani ed europei. La fotografia che ne risulta è quella di un universo tanto ampio e diversificato quanto recente. Nel nostro Paese risultano attualmente 219 player totali: 107 single family office, 94 multi-family professionali e 18 organizzazioni di origine bancaria che offrono analoghi servizi strutturati rivolti a più famiglie. Del primo gruppo, circa la metà coesiste con l’impresa familiare mentre il 27% deriva da cessioni (complete o parziali) delle quote di proprietà. Non solo. Il 55% si configura come family portfolio office mentre il 26% assume la forma della cassaforte di famiglia e solo l’11% può essere considerato family office dinastico: un trittico di dati che dimostra come la maggioranza dei single family office sia di più recente formazione e di minori dimensioni rispetto ai corrispettivi d’oltreoceano.
Come dimostrato dalla ricerca, la leva decisiva per lo sviluppo del settore è rappresentata dalle nuove generazioni: la loro partecipazione risulta infatti cruciale tanto per garantire la continuità delle imprese quanto per evitare la dispersione del patrimonio familiare. Tuttavia, pianificare lo sviluppo delle competenze giovanili per fare crescere successori realmente motivati a lavorare nel business dei genitori e nonni è difficile. In questo senso, la survey Global University Entrepreneurial Spirit Students parla chiaro: solo il 3,5% delle generazioni successive ha intenzione di entrare nell’impresa di famiglia subito dopo laurea e appena un ulteriore 4,9% pensa di farlo a cinque anni di distanza dal traguardo. Un’evidenza che fa il paio con il dato sugli eventi di liquidità in Italia: dal 2013 al 2022 sono stati complessivamente 2.365, per un valore di 300 miliardi di euro dati (Politecnico di Milano – Pictet Wealth Management), ma se ne contano ben 333 nel solo 2021 e addirittura 356 nel solo 2022. Con più della metà (52%) dei nuclei clienti di multi family office che dice di averne attraversato o di stare attraversandone uno.
In altre parole, chi ha competenze avanzate e titoli di studio prestigiosi sempre più spesso sceglie di mettersi alla prova altrove: tanto è vero che il 35% degli intervistati individua in questa esatta dinamica la causa fondamentale delle crisi proprietarie, contro il 25% convinto che sia un problema di proposte vantaggiose da buyer esterni e il 19% che cita contrasti tra i membri della famiglia. Ecco allora che, proprio il family office, può diventare un’opportunità. “Le attività che portano a impiegare il patrimonio familiare per creare valore, includendo anche la filantropia, rappresentano una via ulteriore che le Next Gen possono percorrere”, ha spiegato Josip Kotlar, direttore della ricerca insieme a Luca Manelli e Alfredo De Massis. Parole che suonano come un invito ad abbandonare la visione di imprenditorialità familiare limitata all’azienda.
Se il paradigma della proprietà responsabile pare dunque la soluzione per interrompere il cortocircuito generazione, si pone il tema di capire come declinare questo concetto in un approccio pratico. A proposito, la ricerca ha individuato tre ambiti in cui la ragion d’essere di una famiglia imprenditoriale deve essere declinata affinché possa conferire al nucleo maggiore resilienza a fronte di crisi e sfide: il capitale umano, inteso come l’ingaggio delle nuove generazioni per il rinnovamento delle attività della famiglia; il capitale socio-emotivo, cioè i modelli e le pratiche per l’impatto sociale e ambientale di famiglie e family office; il capitale finanziario, il processo di ricostituzione della famiglia durante e dopo l’eventuale vendita dell’impresa. Da questa visione multidimensionale, una serie di best practices che devono modellare l’evoluzione dei family office e del loro contributo.
Lo stesso De Massis, per esempio, ha citato l’importanza di “bilanciare ma non soffocare” le diverse tensioni che fisiologicamente si sviluppano entro i confini di una famiglia imprenditoriale: non solo quella tra tradizione e rinnovamento ma anche quella tra autorealizzazione e solidarietà familiare. Tutti fattori che, se non gestiti, possono portare a una perdita della legacy così come alla dispersione del patrimonio. Emanuela Rondi, dell’Università degli studi di Bergamo, ha invece sottolineato la centralità di avviare percorsi formativi in cui siano coinvolti e valorizzati i giovani membri della famiglia. Da questo punto di vista, l’osservatorio individua quattro vie per gli operatori del settore: ‘explorer’, che consiste nel fornire alla persona strumenti finanziari (come family bank o fondi dedicati) per supportare iniziative imprenditoriali individuali ma coerenti con gli obiettivi familiari; ‘advocate’, che si traduce nell’adozione di strategie volte a incanalare in iniziative filantropiche le aspirazioni dell’individuo a compiere azioni dall’impatto positivo; ‘guardian’, da intendersi come l’insieme di attività di mentorship o shadowboarding per fare dell’interessato un ponte tra i diversi membri; ‘intrapreneur’, ossia facilitare la comunicazione e la collaborazione tra i vari attori coinvolti tramite consigli di famiglia o altre strutture.
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