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L’inizio di un percorso di normalizzazione dei tassi potrebbe fornire ulteriore carburante alla macchina rialzista del metallo giallo. Ma a supporto c’è anche una domanda crescente degli investitori che, spaventati dai livelli del debito, cercano un porto sicuro in cui rifugiarsi
È un oro da record, nonostante la Federal Reserve. E, proprio grazie alla Fed, sarà ancora più da record. Noncurante della politica restrittiva dell’istituto americano di politica monetaria (quando i tassi salgono l’oro tende a scendere), negli ultimi anni il metallo giallo ha continuato a macinare terreno e, sostenuto dagli ingenti acquisti delle banche centrali (sia nel 2022 sia nel 2023 hanno acquistato più di 1.000 tonnellate di oro fisico), è arrivato a superare i 2.600 dollari l’oncia. Una valutazione più che doppia rispetto ai minimi del 2015, quando quotava intorno ai 1.000 dollari. Se poi si confrontano i prezzi attuali con quelli di 20 anni fa la performance dell’oro sale addirittura al 520%. Ma, nonostante il bilancio monstre, il movimento rialzista potrebbe non essere finito.
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Storicamente, l’oro presenta una correlazione inversa ai tassi di interesse americani e quindi tende ad apprezzarsi quando la banca centrale a stelle e strisce dà il via a una politica monetaria espansiva. E oggi ci troviamo all’inizio di un percorso di normalizzazione dei tassi che potrebbe appunto fornire ulteriore carburante alla macchina rialzista del metallo giallo. “Questo può spiegare i quattro mesi consecutivi di afflussi negli ETF globali sull’oro”, sottolinea Alessandro Valentino, product manager di VanEck. “Lo slancio dei prezzi dell’oro, unito a questi afflussi consistenti, ha fatto salire il patrimonio globale in gestione del 20% da un anno all’altro, aggiungendo un nuovo picco a fine mese di 257 miliardi di dollari”, sottolinea l’esperto.
Il ruolo del debito pubblico
Oltre alla Fed, c’è un altro fattore da tenere sotto osservazione e che potrebbe essere determinante per il futuro del metallo giallo: il debito
pubblico…

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