Attirano la performance più elevata e l’ampia diversificazione. Preferite le infrastrutture. Ma scarse conoscenze e illiquidità fanno da freno. Lo Schroders Global Investor Study 2023
Diversificazione e performance. Sono queste le due ragioni principali che spingono sempre più italiani a puntare sui mercati privati. Lo certifica il Global Investor Study 2023 di Schroders, dal quale emerge come l’aumento degli strumenti e l’incertezza sui mercati tradizionali sia allargando il mondo dei private asset oltre i confini dagli operatori istituzionali in favore di un numero crescente di investitori individuali.
L’indagine, che ha coinvolto oltre 23mila persone in 33 Paesi, mostra come metà del campione consideri gli investimenti nei mercati privati un importante strumento di diversificazione e un modo per migliorare la performance del portafoglio. Gli intervistati italiani hanno ammesso che prenderebbero in considerazione la possibilità di investire in media il 12,6% del proprio patrimonio nell’asset class mentre i risparmiatori globali si spingono al 16,4%. Due percentuali che salgono al 18,3% e al 23,1% nel caso in cui a venire interpellati siano interlocutori “esperti”. In particolare, il 45% dei clienti tricolore è attratto da una performance più elevata mentre il 52% identifica il plus della categoria con l’accesso a un universo di investimento più ampio. A livello globale, gli stessi fattori raccolgono il 56% e il 51% dei favori. Seguono, su entrambe le scale, la sostenibilità e la minore volatilità.
Infrastrutture e private equity in testa
Più nel dettaglio, quasi un italiano su tre (32%) si dimostra attratto soprattutto dagli investimenti in infrastrutture. Una percentuale simile a livello globale (30%) preferisce invece il private equity, asset class che incontra il favore di appena un quinto dei risparmiatori nel nostro Paese. Fanno eccezione gli operatori esperti, che hanno come priorità i private markets nel 38% dei casi. L’immobiliare è invece la seconda categoria più desiderata sia da noi che nel resto del mondo.
Scarse competenze e illiquidità frenano gli investitori
Lo studio ricorda come negli ultimi anni, con il crescere dell’interesse, le autorità di regolamentazione e gli asset manager abbiano lavorato attivamente alla democratizzazione dei mercati privati. Sforzo che ha portato al lancio di prodotti come i Ltaf nel Regno Unito o gli Eltif in Europa. Eppure, circa due terzi degli investitori temono ancora la scarsa trasparenza di questa classe di attivi. E mostrano di averne una conoscenza limitata, segnalando quindi la necessita di una maggiore formazione per sostenere la crescita della categoria. Altro freno, secondo lo studio, è poi rappresentato dalla natura illiquida degli strumenti e dalla necessità di detenerli per un lungo periodo: per quasi due terzi degli investitori, sia da noi che a livello globale, si tratta infatti di un fattore chiave. Pesano, infine, anche i costi e la soglia minima di investimento.
Secondo Nils Rode, chief investment officer di Schroders Capital, l’indagine di quest’anno dipinge un quadro destinato a cambiare nei prossimi anni. “L’ampliamento delle opzioni per gli investitori più piccoli rappresenta uno sviluppo molto positivo. Riteniamo inoltre che gli argomenti a favore dell’inclusione dei mercati privati nella propria asset allocation, laddove appropriata, siano più forti che mai”, assicura.
Per Luca Tenani, country head Italy della casa di gestione, l’aumento dell’interesse è in gran parte dovuto a un contesto economico che ha acceso i riflettori sulle potenzialità dei mercati privati come strumenti per ricercare decorrelazione e protezione e dl le dinamiche inflattive. “Resta tuttavia molto lavoro da fare per migliorare la familiarità e la conoscenza di questi prodotti, che saranno resi ancora più accessibili agli investitori non professionali dall’avvento degli Eltif 2.0”, conclude.
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