I mercati temono il rapporto debito/Pil
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Non entusiasma il dato sul Pil Usa relativo al terzo trimestre 2019. Preso singolarmente (+1,9% trimestre su trimestre contro attese dell’1,6%; su base annua, invece, è cresciuto del 2%) si potrebbe tirare un sospiro di sollievo. Ma analizzando l’andamento del prodotto interno lordo dall’inizio dell’anno c’è davvero poco da sorridere.
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Nel terzo trimestre 2019, il pil americano ha fatto registrare una crescita dell’1,9%; un dato che è stato superiore alle attese degli analisti che avevano scommesso su un aumento dell’1,6 per cento. Ma le Borse non hanno festeggiato. O almeno non inizialmente. A risollevare le sorti del listini americano ci ha poi pensato la Fed, che proprio ieri, nel meeting di ottobre, ha tagliato ancora una volta i tassi di interesse, portandoli nella forchetta tra l’1,5% e l’1,75 per cento. Ma perché le Borse non hanno festeggiato a una crescita del Pil superiore alle attese? Per rispondere a quest domanda basta analizzare l’andamento dell’economia a stelle e strisce dall’inizio dell’anno: un calo continuo e costante che, nonostante il recupero dei rendimenti a lungo termine dopo la temporanea inversione della curva Usa nell’ultimo mese, alimenta i timori di una possibile recessione.
“Se da un lato il Pil del terzo trimestre 2019 è risultato superiore alle aspettative di consensus, dall’altro lato la decelerazione su base sequenziale è sempre più evidente – conferma Eoin Maher, fundamentals analyst equities (Us) di Unigestion – Infatti, nel primo trimestre di quest’anno il Pil è stato del 3,1%, nel secondo è arrivato al 2% e ora abbiamo un terzo trimestre all’1,9 per cento”. Su base annua, invece, il Pil dell’ultimo trimestre ha fatto registrare un aumento del 2%, ma si tratta del dato più debole della presidenza di Trump (nel secondo trimestre 2018 aveva raggiunto il 3,2%).
La spinta alla base è arrivata dai consumi, mentre gli investimenti fissi non residenziali sono diminuiti in misura maggiore dalla fine del 2015. “La spesa per i consumi rappresenta circa il 70% del Pil statunitense, ma rimane da verificare se continueranno a mantenere una certa resilienza (ieri il confidence board index è risultato più debole del previsto, ndr) per continuare a sostenere l’economia nel suo complesso, alla luce del momento di difficoltà che sta attraversando il settore manifatturiero”, aggiunge ancora Maher.
La Federal Reserve
La risposta della Fed non si è fatta attendere, con il suo numero uno, Jerome Powell, che nel meeting di ieri ha annunciato un ulteriore taglio dei tassi di interesse, portandoli nella forchetta tra l’1,5% e l’1,75 per cento. Si tratta della terza sforbiciata dallo scorso luglio; complessivamente, la banca centrale americana ha ridotto il costo del denaro di 75 punti percentuali, con tagli da un quarto di punto a luglio, settembre e ottobre. Una situazione diametralmente opposto a quella di un anno fa, quando la stessa Federal Reserve aveva paventato un aumento dei tassi fino al 3 per cento.
Nel comunicato diffuso al termine della due giorni di riunione, la Fed ha detto che le incertezze restano e che “valuterà la strada appropriata per i tassi di interesse”. Il taglio della banca centrale Usa è bastato a risollevare le sorti dei listini Usa, con l’S&P 500 che è salito dello 0,33% facendo segnare un nuovo massimo storico a 3.046,77 punti.