Ritu Vohora, investment specialist di T. Rowe Price, ha da poco concluso un viaggio per l’Italia in occasione del road show della casa di gestione. Ecco le domande più frequenti (con relative risposte)
Ritu Vohora, investment specialist di T. Rowe Price
Stati Uniti e Cina al centro degli interrogativi dei consulenti finanziari italiani. Al netto dei soliti noti, vedi inflazione e tassi di interesse, la volontà di sapere degli advisor del nostro Paese si concentra sulle due grandi potenze globali, con la prima in avvicinamento all’appuntamento delle presidenziali di novembre e la seconda alle prese con un tentativo di ripresa fatto di alti e bassi dopo le fatiche causate dalla politica zero-Covid e dalla crisi del mercato immobiliare.
Queste le evidenze raccolte da Ritu Vohora, investment specialist di T. Rowe Price, che ha da poco concluso un viaggio per l’Italia in occasione del road show della casa di gestione. FocusRisparmio l’ha incontrata per conoscere i pensieri che tengono svegli i consulenti e come risponde un asset manager globale con presenza consolidata nel nostro Paese.
Come asset manager statunitense, sicuramente avrete ricevuto numerose domande sulla prima economia del mondo. Che cosa avete sottolineato in particolare?
Innanzitutto che negli Stati Uniti la crescita continua a confermarsi robusta con buoni dati su consumi e produzione. La chiave per la FED continua a essere l’inflazione vischiosa nel settore dei servizi e sebbene ci sia una propensione al taglio dei tassi c’è al contempo la consapevolezza di non avere fretta nel farlo. La FED ha bisogno di vedere un’inflazione più bassa in modo sostenibile e questo potrebbe richiedere aggiustamenti continuativi del mercato del lavoro.
Non dobbiamo escludere, inoltre, che le mosse della FED possano essere in qualche modo influenzate dall’avvicinarsi delle elezioni. Il focus sarà in tal senso salvaguardare l’immagine di neutralità connaturata ad un’istituzione di politica monetaria e per questo motivo la nostra attuale previsione è per un solo taglio dei tassi nel 2024.
E per quanto riguarda la BCE, cosa prevedete?
Siamo con ogni probabilità alla vigilia di una prima volta assoluta per la BCE che si appresta a tagliare i tassi prima della FED. Il percorso è più chiaro per l’Europa, visti i progressi in materia di inflazione e una crescita più contenuta. Ci sono varie domande intorno a questo atteso evento, come, ad esempio, che cosa significherà per il mercato azionario o se continuerà l’eccezionale vitalità dell’economia statunitense, o che cosa accadrà ai fondamentali in risalita dell’Europa a fronte di un taglio del costo del denaro.
Quello di cui siamo convinti è che una volta avviato il percorso di taglio dei tassi il ritmo sarà deciso con profonda attenzione ai dati che seguiranno. Pensiamo ad un massimo di tre tagli nel 2024, ma tutto dipenderà dai numeri delle economie continentali e in particolare, ovviamente, dai progressi dell’inflazione.
Quanto quest’ultimo tema è stato presente nei colloqui con i consulenti finanziari italiani?
Molto presente, e a nostro avviso per ottime ragioni. Il pericolo di reflazione è reale e da tenere in considerazione nel momento in cui si gestisce un portafoglio. Come calmierare questo rischio è stato un tema di discussione molto importante. Le nostre risposte si sono concentrate nel sottolineare il potere di hedging di classi di attivo come i real assets o di uno stile value per quanto riguarda l’equity. Nell’obbligazionario il mantenimento di una duration più breve e di titoli di Stato protetti dall’inflazione può portare allo stesso risultato, senza peraltro una rinuncia a rendimenti interessanti
A livello generale abbiamo sottolineato l’importanza della diversificazione e di avere un approccio globale ai mercati, cercando di contrastare un home bias particolarmente presente in Italia come testimoniato dagli straordinari risultati di raccolta delle ultime emissioni dei BTP.
Debito emergente, global high yield, titoli value e small cap sono solo alcune delle opportunità in termini di rendimento e di diversificazione oggi presenti sui mercati che rischiano di essere perse dagli investitori per una visione troppo a corto raggio.
In merito alla Cina, come abbiamo detto tra le preoccupazioni principali dei consulenti, quali sono le vostre attuali valutazioni?
La Cina viene da tre anni di sottoperformance che a nostro avviso sono il sintomo di un cambiamento di ciclo che richiederà tempo per prendere una forma pienamente definita. I dati sulla produzione mostrano qualche miglioramento ma quello che ancora fatica molto è la fiducia dei consumatori che non sono ancora tornati a spendere come in passato. I piani governativi per mettere in sicurezza il settore immobiliare, inoltre, sono di grande portata e necessiteranno tempo perché i risultati siano visibili. Si è assistito a un flusso costante di nuove politiche a sostegno dell’economia, ma finora non sono riuscite a stimolare la crescita del PIL.
Questo quadro ci fa propendere per un approccio altamente selettivo per trarre vantaggio dalle interessanti valutazioni della Cina, concentrandosi sui nuovi motori di crescita del Paese, come il rafforzamento del settore industriale, il riallineamento della catena di approvvigionamento, il passaggio dalle esportazioni ai consumi e dall’espansione al rendimento.
Proprio il rapporto con la Cina è uno dei temi caldi della campagna elettorale americana. Che cosa dobbiamo attenderci nell’avvicinamento alle presidenziali?
Questo è un argomento su ci siamo stati sollecitati in tutte le tappe del nostro roadshow, nonostante manchi ancora molto a novembre. Sulle presidenziali è importante capire che molta della differenza la farà la presenza o meno di una solida maggioranza nel Congresso perché questo determina la possibilità di fare significativi cambi legislativi senza il consenso di parte dell’opposizione. Al momento il risultato più probabile è un Governo diviso. Il che significa che le azioni più immediatamente realizzabili saranno quelle che si focalizzano sulla politica estera. Aree che già godono di un appoggio bipartisan, tra cui quelle a protezione dell’industria manifatturiera americana e in particolare di contrasto proprio alla Cina nella competizione per la leadership economica globale.
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