Covered bond, S&P vede le emissioni europee in calo a 140 miliardi nel 2025
Nonostante i tassi in calo, l’agenzia stima maggiore incertezza per l’asset class. Ma l’outlook resta stabile grazie a una serie di fattori
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Dopo una prima reazione pacata all’attacco iraniano contro Israele, sui mercati cresce il nervosismo nell’attesa di conoscere l’intensità della risposta di Tel Aviv. Pur ritenendo marginale il rischio di un conflitto più ampio, gli investitori non sottovalutano infatti i pericoli connessi a tensioni forti e prolungate in Medio Oriente perchè sono consapevoli che da lì proviene il 40% del petrolio globale. Un alert in questo senso è arrivato dall’agenzia di rating Statunitense S&P, secondo cui un’escalation resta improbabile ma il merito creditizio dell’Area potrebbe comunque essere messo a dura prova. Per il resto del mondo, gli analisti Usa vedono invece rischi legati ai prezzi dell’energia e al blocco delle catene di approvvigionamento: due fattori che, a loro volta, potrebbero avere ripercussioni su inflazione e mercati.
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Sebbene il rischio geopolitico sia “significativamente” aumentato, la tesi centrale dello scenario base targato S&P resta dunque invariata: la guerra Israele-Hamas continuerà nel 2024 e Gaza ne rimarrà il cuore, con una continua pressione sullo Stato ebraico da parte di Teheran e dei suoi proxy. Gli analisti però precisano come “l’azione militare senza precedenti dell’Iran aumenti il rischio di una forte escalation del conflitto, che mette a dura prova i limiti delle ipotesi di base a sostegno dei rating sovrani assegnati dall’agenzia nell’area”. Tradotto: anche se intesi sforzi diplomatici e la natura limitata delle operazioni iraniane dovrebbe impedire alla crisi immediata di degenerare in un conflitto su larga scala, tutto dipenderà dalla natura e dall’entità della risposta di Netanyahu. “Un ampio destabilizzerebbe l’intera regione e i suoi mercati finanziari”, è infatti l’avvertimento contenuto nel report.
In particolare, sebbene i principali protagonisti del conflitto e la più ampia comunità diplomatica abbiano esplicitamente indicato di non volere un’ulteriore inasprimento della situazione, il rischio di errori tattici e di altri scenari negativi è aumentato. E gli esperti ritengono ora probabile che un contesto geopolitico instabile e prolungato, caratterizzato da periodiche azioni di escalation, rimanga una realtà per la regione. Ecco perchè l’agenzia non esclude di adottare azioni di rating negative nel caso in cui la guerra dovesse evolversi e produrre implicazioni macroeconomiche sempre più negative sul commercio o su flussi finanziari e turismo, in aggiunta ai danni alle popolazioni colpite. “I giudizi sui Paesi emittenti mediorientali tengono già conto di un certo livello di volatilità geopolitica regionale”, viene specificato. Ma, come è ovvio, sviluppi come una chiusura prolungata dello Stretto di Hormuz e la conseguente impossibilità di esportare potrebbero annullare il beneficio fiscale di un potenziale rincaro del petrolio per gli Stati del Golfo. Una situazione che farebbe aumentare il fabbisogno di spesa dei governi, influendo negativamente sui deflussi di capitale così come sui costi di finanziamento e sulla crescita.
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Nello scenario di un conflitto prolungato, che al momento viene considerato avverso, i rating di S&P sulla maggior parte dei sovrani regionali potrebbero quindi essere messi sotto pressione. Nel breve termine, l’agenzia si attende però che i giudizi di Abu Dhabi, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita verranno supportati dai loro ampi stock di asset governativi esterni investibili. Quanto all’Oman, la rapida riduzione della leva finanziaria ne ha rafforzato il bilancio sovrano e la sua posizione geografica fornisce protezione dalla chiusura delle rotte di esportazione. Più vulnerabile ai deflussi è invece considerato il Bahrein, dato l’elevato fabbisogno di finanziamento esterno della sua industria bancaria. Inoltre, un’ulteriore escalation potrebbe compromettere la stabilità sociale e la sicurezza di Iraq, Libano, Giordania ed Egitto, soprattutto in caso di rappresaglie nel loro territorio. “Il bassi livelli di rating di questi Stati incorporano già un alto grado di rischio politico e le sfide radicate che devono affrontare”, precisano però gli analisti.
Per Israele, l’attacco diretto dell’Iran costituisce un ulteriore aumento di rischi geopolitici già elevati. Sebbene la guerra con Hamas sia stata prevalentemente incentrata a Gaza, le sue ricadute sono state infatti sempre più avvertite su altri fronti: dal regolare scambio di fuoco con Hezbollah in Libano alle aggressioni degli Houthi fino al primo attacco diretto da parte di Teheran. S&P avverte quindi che il persistere della minaccia di un conflitto regionale più ampio potrebbe avere un impatto ancora più marcato sull’economia del Paese, così come sul suo bilancio e sulla sicurezza.
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L’agenzia statunitense analizza infine anche le ripercussioni delle tensioni mediorientali sulle principali economie mondiali non direttamente coinvolte nel conflitto. E poichè una guerra regionale resta fuori dallo scenario di base, le previsioni non cambiano più di tanto. Tuttavia, nel report si precisa che “le enormi sfide da affrontare per trovare un percorso di de-escalation rendono la traiettoria a medio densa di rischi”. Ciò significa che i principali canali di trasmissione esposti al conflitto capaci di influenzare le condizioni del credito continueranno a essere monitorati attentamente. Tra le conseguenze più immediate di un possibile inasprimento delle ostilità, gli analisti elencano i prezzi dell’energia ma anche le interruzioni della catena di approvvigionamento e la ripresa delle pressioni inflazionistiche”. Tutte ipotesi che, unite alla frenata della Fed sui tassi e all’incertezza generalizzata sulle politiche monetarie, aumenta il nervosismo degli investitori.
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