Debito globale, allarme FMI: al 93% del PIL quest’anno
Supererà i centomila miliardi di dollari. E nel 2030 arriverà al 100%. Necessario un aggiustamento del 3-4,5% del PIL ogni anno. “Ritardare richiederà un intervento più ampio”
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Nonostante l’allentamento monetario si faccia sempre più vicino, fra gli istituzionali prevale la cautela. Tanto che marzo è stato caratterizzato da una generale frenata dell’aumento di partecipazioni in asset rischiosi. La battuta d’arresto non è indiscriminata: gli investitori di lungo termine hanno infatti continuato a puntare sull’azionario, mentre sono stati più titubanti nel reddito fisso malgrado l’imminente taglio dei tassi. Il clima d’incertezza emerge dagli State Street Institutional Investor Indicators relativi al mese scorso e in particolare dallo State Street Risk Appetite Index, che è tornato a quota 0,09 (rispetto al precedente 0,18), evidenziando un leggero calo della propensione al rischio, ora più vicina alla neutralità.
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Gli indici mostrano che le allocazioni azionarie da parte degli investitori di lungo termine sono cresciute dello 0,6%, attestandosi al 53,4%: una quota vicina ai massimi da 15 anni. L’incremento è stato però accompagnato da un calo simile nelle partecipazioni in liquidità, scese al 19%, e da un lieve aumento dello 0,1% nelle esposizioni al reddito fisso, salite al 27,5%. Per l’head of Macro Strategy di State Street Global Markets, Michael Metcalfe, il fatto che la propensione al rischio sia stata completamente bilanciata nel mercato valutario e negli asset legati alle commodity dimostra che gli istituzionali sono ancora diffidenti nei confronti degli asset più ciclici, anche con i mercati azionari ai massimi storici.
Probabilmente, secondo l’esperto, la ragione principale della cautela degli investitori è dovuta proprio al fatto che l’esposizione ai titoli azionari è a un passo dai massimi raggiunti prima della crisi finanziaria. Allo stesso tempo, le allocazioni in liquidità si attestano intorno allo 0,3% della loro media di lungo periodo. “I livelli di liquidità ‘in eccesso’, almeno rispetto alla media, sono ormai prossimi ad esaurirsi, proprio quando le partecipazioni azionarie hanno raggiunto il picco ciclico”, sottolinea Metcalfe. Aggiungendo che, da qui in avanti, saranno quindi necessarie notizie positive a livello macroeconomico o microeconomico, al di là del semplice momentum, per indurre gli investitori a sottopesare attivamente il cash a fronte di livelli di rendimento così interessanti.
A livello geografico, il fatto che per l’Eurozona l’outlook sia più soft, rispetto a quello Usa, lo rende anche un po’ meno incerto. “La Bce ha dichiarato con fermezza che i tagli dei tassi inizieranno a giugno. L’indebolimento dei dati economici da qui in poi non fa altro che rafforzare il sostegno monetario e questo inizia a riflettersi nella domanda di asset dell’Area”, spiega Metcalfe. A marzo, per la prima volta quest’anno, gli investitori istituzionali hanno smesso di vendere l’euro e in alcuni Paesi del Vecchio Continente si sta assistendo al ritorno della domanda di azioni. “A differenza delle posizioni sovraffollate nei titoli azionari statunitensi e in particolare in quelli tecnologici, le azioni europee potrebbero dimostrarsi meno vulnerabili nel secondo trimestre se l’allocazione complessiva in equity iniziasse a fermarsi sui massimi da 15 anni”, conclude l’esperto.
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