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Ad agosto i prezzi dell’Area sono aumentati dal 5,9% al 6,4%. Colpa dell’energia. In crescita anche l’indice del G7, stabile il dato core. Segnali di schiarita in Uk
L’inflazione rialza la tesa ad agosto. Lo segnala l’Ocse, che in una nota evidenzia come l’indice dell’Area sia salito al 6,4% dal 5,9% di luglio per effetto di un aumento in 14 dei 38 Paesi membri. Colpa della ripresa dei prezzi dell’energia, che si sono ridotti solo dell’1,4% su base annua dopo il -7,5% fatto registrare il mese precedente. Un fiammata che, seppure limitata solo a una parte dell’ente parigino, aggiunge altro pessimismo al sentiment dei mercati mentre nuove dichiarazioni da falco giungono dalle banche centrali di ambo le sponde dell’Atlantico.
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Stabile l’inflazione core
L’Ocse segnala che i prezzi degli alimentari hanno continuato a diminuire ma a un ritmo più lento rispetto ai mesi precedenti: +8,8% in agosto dopo il 9,2% di luglio. L’indice core, quello al netto di cibo ed energia, è invece rimasto sostanzialmente stabile al 6,8% mentre il dato headline su base annua ha fatto segnare un +5,2% a fronte del 5,3% di luglio. Peggio è andata nella più ristretta area del G7, dove il carovita ha segnato un incremento per la prima volta da ottobre 2022: al 4,2% dal 3,9%.
A livello di singoli Paesi, aumenti sono stati registrati tanto in Canada (4% dal 3,3%) quanto in Francia (4,9% dal 4,3%) e Stati Uniti (3,7% dal 3,2%): tre Stati dove i prezzi dell’energia sono saliti notevolmente. Il costo complessivo della vita ha invece continuato a rallentare in Italia (5,4% dal 5,9%), raggiungendo il livello più basso da gennaio 2022, mentre è rimasto invariato in Germania (6,1%), Giappone (3,2%) e Regno Unito (6,3%). La maglia nera va ancora alla Turchia, dove il dato è schizzato di dieci punti e ha toccato il 58,9% dal 47,8%.
Uk, segnali di schiarita sul fronte dei prezzi
Buone notizie arrivano dal Regno Unito, il Paese più colpito fra i big dall’impennata globale dei prezzi. A settembre, infatti, i generi alimentari inglesi hanno segnato un calo per la prima volta da circa due anni. Stando al British Retail Consortium, l’organizzazione di categoria della grande distribuzione, il rallentamento per ora è solo dello 0,1% ma sufficiente a confermare l’inversione di rotta che il carovita del settore sta intraprendendo. Un’evidenza che potrebbe rendere la Bank of England ancora più colomba di quanto dimostratasi in occasione dell’ultima riunione.
Le banche centrali non mollano la presa
Intanto, Federal Reserve e Banca centrale europea continuano a viaggiare all’unisono e a mandare messaggi da falco. Il capo economista della Bce, Philip Lane, ha ribadito come la battaglia contro l’inflazione non sia vinta e ancora molto resti da fare. “A un certo livello ci sono segnali che gli aumenti dei prezzi saranno meno forti entro la fine dell’anno”, ha spiegato, sottolineando però che ora la preoccupazione principale riguarda i servizi e quindi i salari. A Lane ha fatto subito eco Gediminas Simkus, il governatore lituano, secondo cui “i tassi devono essere mantenuti sufficientemente alti per un periodo sufficientemente lungo”.
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Negli Usa, complice la tenuta dell’economia, prende invece corpo l’ipotesi di un ulteriore aumento del costo del denaro entro fine anno. “L’inflazione continua a essere troppo elevata e ritengo che sarà probabilmente opportuno che il Comitato aumenti ulteriormente i tassi e li mantenga su un livello restrittivo per qualche tempo”, ha avvertito il membro Fomc, Michelle Bowman. Il banchiere ha sottolineato che il dato di agosto indica sì un rallentamento, ma al ritmo più lento dal 2020. E che l’ultima lettura basata sull’indice della spesa per consumi personali (deflatore) ha mostrato come il tasso complessivo sia aumentato in scia all’incremento dei prezzi del petrolio. Dello stesso parere Loretta Mester, membro della Fed di Cleveland, che coinvolge nell’equazione anche altri fattori: dall’andamento della Cina allo lo sciopero del settore auto fino a un potenziale Shutdown. Più cauto, infine, il vicepresidente dell’organismo di supervisione della banca centrale Usa, Michael Barr. “Siamo a un livello sufficientemente restrittivo o molto vicino al picco”, ha detto. Il punto, a suo parere, è ora capire per quanto tempo sarà necessario che restino in tale range.
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