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Lo strumento a cinque anni cala all’1,9% e tocca il minimo da luglio 2022. Segno che, per il mercato, il carovita del 2025 sarà inferiore al target fissato dalla BCE. Uno scenario imputabile al rallentamento della crescita. Intanto l’Eurotower resta divisa
La dinamica dei prezzi non fa più paura agli investitori dell’Eurozona. Lo dimostra il forward inflation swap a cinque anni, che a novembre è sceso sotto il 2%. Una circostanza inedita da luglio del 2022 e che testimonia come il mercato sia sempre più convinto di vedere il carovita 2025 scendere sotto il 2% desiderato dalla Banca centrale europea in scia a un imminente rallentamento della crescita. Ma intanto, proprio l’istituto di Strasburgo, continua a mostrarsi diviso sulle prossime misure di politica monetaria.
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Il faro dei banchieri centrali
Come riporta Lseg sulla metrica, che riflette le previsioni degli investitori sull’inflazione per il periodo quinquennale in partenza nel 2030, il dato si è portato all’1,9994% dal 2,2% di 30 giorni fa. Si tratta di un risultato che assume grande rilievo nell’ottica dei banchieri centrali, sempre attenti alle attese di famiglie e imprese sulla dinamica dei prezzi perché mossi dalla convinzione che talvolta le profezie si autoavverino per effetto di variazioni preventive nei risparmi o nelle spese dei cittadini in vista degli scenari futuri. Già Mario Draghi nel 2014 aveva infatti citato questo indicatore, ma in riferimento a una prospettiva opposta: all’epoca il timore dell’Eurotower era cioè la deflazione e l’allora presidente dell’istituto si era preoccupato nel vedere uno swap a cinque anni sotto il 2%.
Possibile un ribaltamento di scenario
L’inflazione dell’Eurozona è scesa dal massimo storico del 10,6% nell’ottobre 2022 all’1,7% dello scorso settembre, salvo poi risalire nel corso dell’ultimo mese ma restando comunque in linea con il target della BCE. Un raffreddamento complessivo attribuito imputabile all’insieme di più fattori, dalla normalizzazione delle catene di approvvigionamento dopo lo shock del Covid al calo dei prezzi energetici fino ai rialzi dei tassi da parte delle banche centrali, e che dovrebbe intensificarsi ulteriormente di qui a fine anno come conseguenza del rallentamento cui va soggetta la crescita del blocco. Secondo le rilevazioni di novembre, l’attività delle imprese europee è infatti scesa molto più nettamente di quanto previsto dagli economisti e ora pone la BCE di fronte all’opportunità di allentare la politica monetaria per scongiurare un ribaltamento di scenario che fino a metà anno sarebbe stato impossibile immaginare.
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Ma la BCE resta divisa
Nel board dell’istituto c’è però chi continua a remare contro una soluzione di questo tipo. Il ruolo di capofila per questo gruppo è incarnato dal falco Isabel Schnabel, che dalle pagine di Bloomberg è intervenuta per mettere in guardia sui rischi di mollare la presa troppo presto. “Attenzione muoversi troppo in là o comunque in territorio accomodante”, ha detto, aggiungendo di non credere che “sarebbe appropriato dal punto di vista attuale”. La rappresentante dell’Eurotower ha quindi stimato la neutralità, che non può essere misurata con precisione, nell’intorno del 2%-3% e si è detta convinta che “potremmo non essere così lontani” in prossimità di un tasso del 3,25%.
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