Previdenza, allarme Inapp: nel 2050 un pensionato per ogni lavoratore
Denatalità e invecchiamento minacciano il welfare italiano. Se si rapporta chi è in pensione con chi lavora, il carico attuale risulta pari al 60%: il peggiore in Europa
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Non solo i prodotti, anche l’asset manager deve essere sostenibile. È ciò che cercano i fondi pensione negoziali, che nel 54% dei casi indicano come criterio di selezione del gestore la Esg Identity. La svolta emerge della sesta edizione della ricerca “L’Esg applicato dai fondi pensione”, condotta da ET.Group – The Esg knowledge company, il think tank ideatore del salone.SRI, e Assofondipensione, con il supporto di Nuveen (i risultati saranno presentati, in un workshop dedicato il 15 novembre). Un orientamento figlio della necessità di ricercare un approccio alla corporare social responsability che vada oltre il singolo progetto e cambi le regole di comportamento degli stessi protagonisti.
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L’indagine, che ha coinvolto 26 fondi pensione (pari all’81% dei negoziali della previdenza italiana), mostra importanti conferme nell’utilizzo dell’Esg Identity, concetto che ormai contamina gli stessi fondi dal momento che una chiara identità sostenibile è ritenuta necessaria per evitare confusioni e perseguire i giusti investimenti. Nella scelta dell’asset manager pesano infatti anche i singoli aspetti costitutivi della ‘identità sostenibile’, come cultura aziendale e know-how interno, ritenuti discriminanti dal 58% degli intervistati. Il 23% monitora poi anche il purpose Esg. Ma non solo. Cinque fondi pensione assegnano alla Esg Identity un suo peso specifico: in particolare, due le attribuiscono il 5% della valutazione totale necessaria per la selezione del gestore, uno il 7% e un altro addirittura il 20%.
Insomma, proporre un’offerta di prodotti Esg non è più sufficiente: questa deve essere accompagnata da un parallelo sforzo per allineare alle migliori pratiche di sostenibilità la struttura interna. Il concetto di Esg Identity, infatti, raggruppa l’insieme degli elementi distintivi di un soggetto, a partire dalla sua struttura organizzativa (la governance) per arrivare alla coerenza e consistenza della sua offerta al mercato, passando per le modalità con cui il soggetto pensa (la cultura aziendale) e si impegna sul fronte sostenibile (il suo scopo).
Le contraddizioni però non mancano. È infatti in calo il numero di fondi pensione in possesso di una policy sugli investimenti sostenibili o con un esperto Esg interno. Per gli autori della ricerca, tale entropia emersa dalle risposte può essere superata rafforzando il Dna Esg dei fondi stessi, che permetterebbe di avere sempre chiara la direzione e di perseguire i giusti investimenti. Con questo obiettivo, ET.Group sta studiando a un’evoluzione della survey di Assofondipensione, per indagare la Esg Identity degli fondi. Per gli esperti, la domanda da porsi ora, infatti, è quale sia il purpose del fondo pensione e quale l’entità Esg che deve accompagnarlo. Secondo Luca Testoni, fondatore del salone.SRI, si tratta della prossima frontiera di ogni investitore responsabile. “Questo percorso di consapevolezza (chi voglio essere?), infatti, diventa necessario per individuare e promuovere il proprio ruolo ‘politico’, ossia di soggetto nella polis. In prospettiva, questa specifica capacità di creare impatto sui fattori ambientali e sociali della comunità sarà il fattore distintivo e competitivo di ogni investitore”, afferma.
Valeria Picchio, coordinatrice del comitato tecnico di Assofondipensione, fa notare come la sesta edizione del sondaggio registri un aumento della partecipazione dei fondi negoziali rispetto al 78% dello scorso anno. E anche una rinnovata sensibilità ai temi Esg. È aumentato, infatti, il numero di coloro che produce reportistica annuale su attività di engagement. Alcuni fondi inoltre hanno avviato importanti esperienze di esercizio del diritto di voto. “Sappiamo bene – commenta – che l’attenzione riservata ai temi Esg oggi è fortemente condizionata dagli adempimenti normativi comunitari spesso faticosi e sempre più stringenti. È altrettanto vero, però, che gli investitori istituzionali, e a maggior ragione i fondi pensione negoziali per la specificità del loro modello di governance, devono assumersi ‘la responsabilità di un modello di sviluppo che guardi oltre il breve periodo, per cercare di lasciare un mondo migliore alle future generazioni’”.
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più nel dettaglio, dalla ricerca emerge anche che il 31% dei fondi ha pubblicato una ‘politica di impegno’ nella formula comply, cioè nel pieno rispetto della normativa. E che il 25% ha definito una politica di voto. Inoltre, il 15% ha partecipato a un roadshow con le aziende e risulta in miglioramento gran parte dell’engagement dei fondi sia in termini di quota, che passa dal 32% del 2022 al 38%, sia di consapevolezza sul perché alcuni non fanno engagement: nessuno ritiene più che non rientri negli obiettivi. Il problema principale risulta però ora la mancanza di competenze professionali per il 44% di quelli che non attuano engagement. Tra i fondi che lo attuano, il 70% ha una forma di reporting dei risultati (e delle scelte di voto), mentre il 21% ha una matrice di materialità che guida tale attività.
Ci sono infine evidenti ‘bagni di realtà’, segnale della presa di coscienza della complessità imposta dal regolatore. Cala infatti dal 68% del 2022 al 62% la quota di fondi che ha una policy sugli investimenti Esg e si dimezza la percentuale di coloro che hanno una figura esperta dedicata al tema, dal 47% dell’anno scorso al 25%.
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