Investitori dubbiosi su come il tycoon condurrà la partita con Messico e Canada dopo lo stop alle tariffe al 25%. E sugli aggiustamenti tattici da appontare ai portafogli. Per Defend (Amundi), il reddito fisso sarà l’asset class meno impattata. Casagrande (Generali Investments) avverte: “Azioni USA ancora al top”. La view dei gestori tra il rischio di uno scontro totale e la possibilità di una tregua
Una dimostrazione di forza oppure le prime schermaglie di una guerra commerciale destinata a trasformare l’assetto economico globale? La prima intemerata sulla scena internazionale di Donald Trump, che a inizio settimana ha annunciato dazi al 10% sui prodotti cinesi e al 25% su quelli di Canada e Messico, ha aggiunto nuova incertezza al bagaglio degli investitori. Tanto più che, mettendo a segno l’ennesimo colpo di scena, il tycoon è subito tornato sui suoi passi e ha deciso di sospendere per un mese le misure protezionistiche contro le due capitali americane messe nel mirino poche ore prima. Ma se i mercati hanno reagito d’impulso, con le Borse europee e la stessa Wall Street in rosso, i gestori sono convinti che tutto sia ancora in divenire. Circostanza che impone di aggiustare i portafogli in modo tattico.
La notizia delle restrizioni al commercio non rappresenta di per sé una novità. Sabato scorso l’inquilino della Casa Bianca aveva infatti annunciato che, a partire da martedì 4 febbraio, le aziende americane avrebbero pagato un dazio del 25% per i prodotti importati da Canada e da Messico mentre quelle legate alle catene di fornitura cinesi si sarebbero viste aumentare le tariffe del 10% rispetto al livello già in essere. Una misura ampiamente anticipata in campagna elettorale e pensata per riequilibrare una bilancia commerciale che al momento vede Washington con un disavanzo di oltre 773 miliardi di dollari. Quello che ha stupito è stata però la scelta, arriva a metà giornata, di fare marcia indietro rispetto a quanto dichiarato poche ore prima. Nella mattinata di lunedì il presidente USA ha infatti congelato per un mese le nuove misure protezionistiche nei confronti del Paese centroamericano e poi, in serata, si è comportato allo stesso modo anche con Ottawa. “La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha accettato di inviare al confine settentrionale 10mila soldati per fermare il flusso di fentanyl e immigrati irregolari”, si è giustificato il tycoon, rivelando che anche il premier canadese Justin Trudeau è sceso a compromessi e ha confermato il suo impegno su tre fronti: nominare un responsabile alla lotta contro il traffico di stupefacenti, lanciare una forza d’intervento congiunta contro il crimine organizzato e inserire i cartelli della droga nella sua lista delle organizzazioni terroristiche. Restano dunque duri solo i toni nei confronti di Pechino, con il Dragone che ha varato aliquote al 10% su carbone e gas naturale liquefatto più un’ulteriore tariffa del 10% su petrolio e attrezzature agricole.
Anche l’Europa nel mirino
Quanto invece all’Europa, il cerchio sembra stringersi. Del resto, lo stesso Trump lo ha detto a chiare lettere in più occasioni: il Vecchio Continente sarà colpito da dazi. Un avvertimento che, alla notizia delle prime ‘offensive’ ai danni dei Paesi oltreoceano, ha spinto i leader dei 27 a riunirsi per cercare di stabilire una linea d’azione comune. Una battaglia a colpi di tariffe tra le due rive dell’Atlantico sarebbe dannosa per entrambe le parti, è il pensiero trapelato da Bruxelles, che non ha però potuto evitare di minacciare una “ferma risposta” contro qualsiasi partner commerciale che decidesse di imporre arbitrariamente condizioni sfavorevoli alle merci UE. Il timore maggiore per il blocco non solo è quello di dazi generalizzati al 10%, da quali potrebbe discendere una riduzione del PIL dell’Unione tra lo 0,5% e l’1%, ma anche che Washington riesca a spezzare il fronte comune attraverso accordi bilaterali. Ecco perché la Commissione, che già dall’autunno ha attivato vari team per studiare i possibili scenari, starebbe ipotizzando di offrire come contropartita al leader repubblicano un forte aumento delle importazioni di attrezzature militari e gas liquido. Ma molti esperti dubitano che basterebbe, anche perché il presidente francese Emmanuel Macron insiste che prevalga il buy european.
Nel frattempo, l’offensiva di Trump non ha mancato di lasciare pesanti strascichi sui mercati. I listini asiatici, fatto salvo quello cinese, hanno infatti subito una giornata di ribasso. Ma ad andare male sono state anche le Borse europee, che hanno viaggiato fiacche per tutto il corso della seduta, e persino la stessa Wall Street, il Dow Jones e il Nasdaq hanno aperto in ribasso dell’1% per ridurre le perdite solo una volta appreso dell’accordo con il Messico. Una dinamica, quest’ultima, che sembra riflettere l’idea di un’amministrazione USA interessata a usare la guerra commerciale come strumento di negoziazione e persuasione anziché come arma con cui offendere i rivali internazionali.
Defend: “Impatto maggiore sull’economia”
Monica Defend, head of Amundi Investment Institute
Secondo Monica Defend, head dell’Investment Institute di Amundi, non sarà facile capire in quale direzione potrà evolvere lo scenario. Di certo, per l’esperta, c’è solo che le maggiori conseguenze si avranno sull’economia. “Le nostre simulazioni indicano che l’imposizione di dazi avrà un impatto negativo e, in particolare, ridurrà la crescita di circa lo 0,2%-0,3% e contribuirà a un aumento dell’inflazione circa dello 0,3% sia nei Paesi che li impongono sia in quelli che li subiscono”, spiega, chiarendo come non si potranno escludere influssi anche sulla politica fiscale e su quella monetaria. E se la Cina dispone dei margini di manovra per attuare misure di sostegno, proprio l’Europa pare alla manager la più esposta alle conseguenze dell’attacco. “Mentre Pechino può continuare la riallocazione progressiva delle catene produttive verso l’Asia e l’America Latina”, è infatti la sua view, “i 27 hanno meno flessibilità”. Quanto invece alle strategie di investimetno, l’idea di Defend è chiara: se i mercati azionari e valutari sono in preda alla volatilità, quello obbligazionario appare ancora legato alle banche centrali. Da qui l’idea l’opportuna di costruire un’allocazione tattica al reddito fisso.
Filippo Casagrande, chief of investments di Generali Investments
Un possibile ritorno di fiamma del carovita resta la maggiore minaccia anche per Filippo Casagrande, chief of investments di Generali Investments. “Aggiungere stimoli a un’economia che già cresce e l’applicazione di tariffe commerciali potrebbero spingere di nuovo al rialzo i prezzi”, spiega, “in un contesto in cui l’inflazione dei servizi è già a livelli elevati”. Diversa è però la sua visione sulle prospettive di crescita e quindi sulle strategie di portafoglio da attuare per affrontare questo momento di volatilità: “Da Trump ci aspettiamo misure espansive che facciano crescere l’economia americana nonostante le turbolenze delle prossime settimane”, chiarisce, “questo ci porta a mantenere un atteggiamento costruttivo sugli asset di rischio e a dare priorità soprattutto all’azionario USA”.
Guerra o pace?
Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel
Più pessimista la visione di Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel, secondo cui la crescita degli Stati Uniti subirà sicuramente un rallentamento e potrebbe addirittura andare incontro a una flessione annuale dello 0,5%. “La salute dei consumatori ha rappresentato un pilastro fondamentale della nostra visione relativamente ottimistica sull’economia statunitense negli ultimi anni”, spiega, “ma se il reddito non dovesse tenere il passo con l’aumento delle tariffe i consumi ne risentirebbero”. Non solo. L’esperto intravede all’orizzonte lo spettro di una vera e propria guerra commerciale su larga scala. “I più colpiti saranno Messico, Canada, Singapore e Corea del Sud ed è probabile che non mancheranno le ritorsioni”, prevede, prendendo a esempio la reazione che Pechino ebbe nel 2018 ai danni delle industrie USA.
Peter van der Welle, strategist di Robeco
Una view più moderata è quella Peter van der Welle, strategist di Robeco. “Il rapido accordo tra il presidente messicano e Trump sottolinea ancora una volta la natura mercantilista della nuova presidenza statunitense”, spiega, prevedendo che i Paesi con un elevato surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti trarranno insegnamento e adotteranno un approccio pragmatico per opporsi a una guerra commerciale ‘tit for tat’ acquistando più GNL statunitense e aumentando ulteriormente la spesa per la difesa al di sopra del 2% del PIL. “È il caso della Germania”, precisa, “mentre i Paesi più autarchici come la Francia potrebbero rivelarsi un ostacolo per la formazione di un fronte forte e unito nei negoziati commerciali”.
“Pur rimanendo fiduciosi nell’ampliamento delle performance azionarie all’interno degli Stati Uniti”, spiega invece Shannon Saccocia, chief Investment Officer di Neuberger Berman private Wealth, “manteniamo una certa cautela nell’estendere questa visione a livello globale”. Se l’amministrazione Trump si prenderà il tempo necessario per negoziare accordi ragionevoli con i suoi partner commerciali, è la view dell’esperto, i mercati ciclici come il Giappone e l’Europa potrebbero quindi beneficiare di una ripresa globale guidata dagli Stati Uniti. “Le prime mosse della presidenza Trump, insieme all’andamento dei mercati osservati dall’inizio dell’anno, sembrano favorire questa ipotesi”, afferma il manager. Detto questo, sono molte le cose che potrebbero a suo avviso andare storte: i dazi “minacciati” potrebbero entrare in vigore a febbraio con conseguenze negative per il commercio globale; dati economici negativi potrebbero riaccendere i timori di inflazione negli Stati Uniti; alcune divisioni all’interno del Partito Repubblicano potrebbero rallentare le nomine governative e le riforme fiscali della nuova amministrazione. “In sintesi”, conclude, “continuiamo a preferire i titoli small cap e ciclici statunitensi rispetto alle grandi aziende tecnologiche. Per chi non l’avesse già fatto, potrebbe essere il momento giusto per iniziare a diversificare verso alcuni mercati al di fuori degli USA”.
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