Debito globale, allarme FMI: al 93% del PIL quest’anno
Supererà i centomila miliardi di dollari. E nel 2030 arriverà al 100%. Necessario un aggiustamento del 3-4,5% del PIL ogni anno. “Ritardare richiederà un intervento più ampio”
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L’inflazione dell’Eurozona decelera ma non quanto basta per tranquillizzare la Banca centrale europea. L’indice dei prezzi di febbraio si è infatti attestato al 2,6% annuo a fronte del 2,8% del mese prima e del 2,5% atteso dagli analisti. Un dato ridimensionato dall’indicatore core, la metrica pensata per escludere i beni più volatili, che è sceso dal 3,3% al 3,1% senza però centrare il 2,9% del consensus. Per gli analisti, si tratta di una rilevazione che nel complesso consolida la linea della cautela scelta dall’Eurotower: l’istituto centrale vuole infatti avere maggiori certezze sulla ritirata del carovita prima di iniziare a tagliare i tassi di interesse. E mentre sempre più investitori si aspettano da meeting di giovedì prossimo un ulteriore invito alla pazienza, prende piede l’ipotesi di una prima sforbiciata in giugno. Anche se c’è anche chi vede l’allentamento allontanarsi ulteriormente.
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A livello congiunturale, l’inflazione del blocco è salita dello 0,6% contro il -0,4% del mese precedente mentre la componente di fondo ha visto una crescita dello 0,7%. Guardando ai principali segmenti, ha registrato un +4% annuo (+5,6% a gennaio) il gruppo che comprende alimentari, alcol e tabacco. I beni industriali non energetici hanno subito rincari di appena l’1,6% (da +2%) mentre l’energia è calata del 3,7% (da -6,1%). Ma è soprattutto l’indicatore dei servizi a preoccupare: a gennaio è scesolo solo al 3,9% dal 4%, rafforzando il timore di Francoforte che la dinamica salariale sia troppo rapida e che i prezzi possano rimbalzare.
Intanto, sempre a febbraio, l’indice Pmi manifatturiero dell’Area è calato a 46,5 punti dai 46,6 del mese precedente. A pesare sulla rilevazione a cura di S&P Global è stato soprattutto il peggioramento delle condizioni operative in Germania, prima economia del blocco, dove l’indicatore si è lasciato alle spalle rapidamente i 45,5 punti di gennaio (massimo da undici mesi) ed è sceso a 42,5: per Berlino si tratta del valore più basso da quattro mesi. “La recessione industriale dell’Eurozona, che dura da un anno, non è ancora arrivata al termine”, ha sottolineato Cyrus de la Rubia. “Una nota leggermente più positiva è arrivata dal declino dei nuovi ordini, che si è lievemente attenuato e ha così offerto un barlume di speranza sul potenziale recupero della domanda in futuro”, ha aggiunto il capo economista di Hamburg Commercial Bank.
In Francia il calo del settore manifatturiero si è invece attenuato a febbraio e i dirigenti delle aziende si sono detti ottimisti per la prima volta dallo scorso maggio: il Pmi manifatturiero è infatti salito a 47,1, da 43,1 a gennaio. Meglio ancora ha fatto la Spagna, dove l’attività ha registrato un’espansione per la prima volta in quasi un anno grazie alla ripresa della domanda interna: la metrica si è infatti attestata a 51,5 (49,2 a gennaio), tornando in zona espansione.
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Quanto all’Italia, il Pmi mensile del settore manifatturiero è aumentato a 48,7 punti dai 48,5 di gennaio. Si tratta della lettura più alta da marzo dell’anno scorso, anche se inferiore al consensus di 49,1 punti. “L’industria tricolore è bloccata in una spirale senza segni di miglioramento”, ha spiegato Tariq Kamal Chaudhry. “Ciò che preoccupa è l’accelerazione del calo della produzione rispetto al mese precedente”, ha evidenziato l’economista di Hcob. Sempre a febbraio, secondo le stime preliminari Istat, l’inflazione nazionale è rimasta ferma a livello tendenziale. L’indice dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua, come a gennaio. Prosegue però il calo dell’indicatore di fondo: l’indice al netto degli energetici e degli alimentari freschi ha decelerato da +2,7% a +2,4% e quello al netto dei soli beni energetici da +3,0% a +2,7%.
“L’inflazione dei servizi nell’Eurozona è il miglior indice dell’inflazione generata internamente ed è chiaramente troppo forte”, commenta Tomasz Wieladek. Non solo. Secondo il chief european economist di T. Rowe Price, gli indicatori prospettici suggeriscono inoltre che potrebbe rimanere a lungo su livelli così elevati”. L’esperto fa infatti notare che, nell’ambito delle indagini congiunturali, gli indici dei prezzi dei servizi sono aumentati per il quarto mese consecutivo e si trovano su livelli decisamente superiori a quelli necessari per raggiungere l’obiettivo del 2%.
“Le pressioni salariali rimangono troppo forti”, spiega Wieladek, chiarendo che l’unica speranza di ridurre il passaggio di questi costi più elevati all’inflazione dei servizi consiste in una riduzione del margine di profitto. Ma la sua visione sulla possibilità che questa ipotesi si concretizzi resta piuttosto pessimistica: “L’ultimo Pmi dei servizi suggerisce che l’attività dell’Eurozona non si sta più contraendo, il che significa che questo canale di aggiustamento sarà probabilmente più debole del previsto”.
Per l’esperto, insomma, questi dati legano le mani alla Bce e la costringono a mantenere una politica monetaria restrittiva più a lungo. “Ciò significa che l’istituto centrale potrebbe dover ritardare il primo taglio oltre giugno. E quando taglierà, probabilmente lo farà in modo graduale, forse una volta al trimestre piuttosto che a ogni riunione”. Non solo: per Wieladek non si può neppure più escludere che l’Eurotower debba “eventualmente procedere a un nuovo rialzo, se i dati continueranno a indicare un’inflazione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato dei servizi in aumento e persistente”.
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