La rivoluzione (in)compiuta dei bond sostenibili
Nel 2024 i titoli verdi hanno superato la soglia dei 5.000 miliardi di emissioni cumulative. Un record storico che segna la forza trainante di un settore in continua espansione
4 min
L’87% delle quotate del nostro Paese considera fra i propri processi di gestione del rischio quelli legati al cambiamento climatico. E il 41% ha almeno un membro del CDA dotato di competenze ESG. Non solo: il 23% ha identificato obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni GHG connessi agli Science Based Targets e un target di neutralità carbonica. Sono solo alcuni dei risultati del rapporto Deloitte, ‘L’attuazione delle Raccomandazioni Tcfd nelle società quotate italiane’, che mostra un elevato grado di maturità e consapevolezza delle imprese in fatto di rischi e opportunità connessi al climate change.
📰 Leggi anche “Per l’industria, è ancora tempo di ESG (ora più che mai)“
Alcuni passi in avanti, però, sono ancora da realizzare. Ad esempio, l’incremento delle competenze degli organi di governance, una maggiore diffusione di misure di adattamento e di impegni per la carbon neutrality e una più consistente incidenza del climate change nelle politiche di remunerazione. Ma la strada imboccata è quella giusta, come certifica lo studio che ha passato al setaccio i documenti pubblici delle società e che ha valutato l’implementazione delle raccomandazioni del Task Force on Climate-related Financial Disclosures. La ricerca si è concentrata su quattro principali aree tematiche: governance, strategia, gestione del rischio, metriche e obiettivi.
Secondo Valeria Brambilla, AD di Deloitte & Touche, la crescente consapevolezza delle imprese “rappresenta un significativo passo in avanti per l’intero ecosistema del nostro Paese in un contesto di forte sensibilità e crescente attenzione da parte delle istituzioni, degli investitori, dei consumatori e degli enti regolatori”. E i dati dimostrano un ruolo importante dei fattori ESG nella definizione delle strategie. Per Stefano Pareglio, presidente di Deloitte Climate & Sustainability, ci sono però molti margini di miglioramento: “Dalle competenze del board e del management alle politiche di remunerazione, dalle analisi di scenario alla strategia di allocazione del capitale, dalla gestione del rischio alle relazioni con la catena di fornitura fino ad arrivare alle misure di adattamento: registriamo infatti gradi di maturità assai diversi e dunque l’esigenza di azioni più incisive”, osserva.
Tornando ai risultati dell’indagine, il 69% delle società interpellate ha attribuito responsabilità in materia di sostenibilità a un comitato endoconsiliare specifico, contro il 60% dello scorso anno. Mentre la percentuale del 41% di chi ha di almeno un membro all’interno del board dotato di competenze in tema ESG, climate change e sostenibilità in senso lato, risulta più che raddoppiata rispetto al 18% precedente. E i parametri in crescita non si fermano qui: il 19% del campione analizzato ha istituito un management committee con responsabilità specifiche legate all’adattamento e alla mitigazione del cambiamento climatico, in aumento rispetto al 15% del 2022. E il 44% delle società possiede una politica di remunerazione con obiettivi legati al cambiamento climatico, dal 29% precedente.
📰 Leggi anche “ESG, per gli italiani conta soprattutto la ‘G’“
In linea con quanto riportato lo scorso anno, il 94% delle aziende riconosce il cambiamento climatico come tema materiale e rilevante per la società e i suoi stakeholder. E il 25% di esse ha sviluppato un’analisi di scenario utile a prevederne gli impatti evolutivi sulla propria organizzazione (e viceversa). Inoltre, la maggior parte (67%) di tali organizzazioni dà disclosure di chiare informazioni a riguardo. Questo risultato evidenzia, rispetto all’ultimo rapporto, un miglioramento in termini chiarezza e trasparenza: del 24% di società che sviluppavano un’analisi di scenario, solo il 43% ne dava infatti conto in modo appropriato.
Dallo studio emerge anche che l’87% delle aziende analizzate considera i rischi e le opportunità derivanti dal cambiamento climatico nei propri processi di gestione del rischio, seppur in alcuni casi in modo generico all’interno dei pericoli di natura ambientale. Un netto miglioramento rispetto al 70% registrato lo scorso anno. In tema di quantificazione, sono due le evoluzioni positive: il 51% del campione (era il 41%) valuta i rischi climatici fisici e di transizione, seppure in alcuni casi solo genericamente e senza misurarne sistematicamente i relativi impatti monetari; il 51% (dal 34%) quantifica le opportunità climatiche, ma anche qui in alcuni casi non ne calcola gli impatti monetari.
Infine, l’ultima area di Raccomandazioni Tcfd riguarda la definizione e l’utilizzo di target e metriche per monitorare i rischi climatici associati all’uso di energia e di risorse naturali quali acqua, aria e suolo. Ebbene, il 72% ha effettuato analisi di Carbon Footprint relative all’organizzazione e ai propri prodotti o (seppur non sono presenti informazioni dettagliate a riguardo) offre prodotti e servizi green e svolge relative analisi in materia ambientale. Il 36% nel 2022 ha aderito al questionario CDP Climate Change, che fornisce un’indicazione su come il business dell’azienda influisce sul cambiamento climatico e viceversa. Infine, in netta crescita dal precedente 16%, quel 23% di rispondenti che dichiarano di aver identificato obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni GHG connessi agli Science Based Targets e un target di neutralità carbonica.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.