Piazza Affari, temi ESG sul tavolo di quasi sette CDA su dieci
Consob: oltre il 71% delle quotate ha presentato la DNF. Aumenta l’integrazione tra questa e i bilanci finanziari. E la sostenibilità entra nelle politiche di remunerazione dei ceo
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In principio era soprattutto l’ambiente. Poi, complice la pandemia, i fattori sociali hanno acquisito sempre più importanza. Ora è invece il momento della governance. Quando c’è da investire in un fondo ESG, gli italiani guardano infatti soprattutto alla ‘G’, ovvero alla buona gestione del fondo stesso, in particolare alle procedure contabili trasparenti (85%), alla protezione dei dati (82%) e a un pricing equo (81%). Lo rivela la ‘Axa Im Esg Consumer Survey 2024’, secondo cui a completare la top five delle priorità dei risparmiatori ci sono poi le specifiche tematiche environmental relative alla salvaguardia degli oceani e della fauna marina e alla riduzione delle emissioni di CO2 (81%). Cenerentola resta invece la ‘S’, visto che solo i più giovani includono tra gli aspetti centrali alcuni fattori sociali come il contrasto alla povertà globale (77%) e i valori etici aziendali (75%). In tutto questo, però, emerge chiaro il bisogno di consulenza, soprattutto di una assistenza professionale che aiuti a comprendere davvero questo tipo di prodotti.
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Lo studio, che ha coinvolto 12 mila risparmiatori in dodici mercati europei e asiatici, mostra però come questi abbiano ancora scarsa consapevolezza della terminologia che accompagna i prodotti ESG. Il termine più popolare in tutte le fasce demografiche resta “investimenti sostenibili”: il 47% degli intervistati ne ha sentito parlare, in linea con la media europea (48%), mentre circa un terzo conosce gli investimenti etici, ESG o responsabili. Appena un quinto ha familiarità con la locuzione “impact investing”. Sul grado di conoscenza del termine specifico ESG, però, una notevole differenza la fa il patrimonio netto: gli investitori italiani high-net-worth, ossia quelli con un oltre 250 mila euro, sono infatti molto più consapevoli dell’acronimo in questione come concetto di investimento rispetto alla media (71% contro 32%) o di “investimento etico” (60% contro 33%).
La scarsa consapevolezza si riflette nella quota di investimenti dedicati ai prodotti ESG. Dalla survey emerge infatti che appena il 26% degli investitori italiani dichiara di detenere fondi che possono essere classificati come etici o ESG. Un valore in linea, ma leggermente inferiore al 28% registrato nel 2021. Da segnalare però il lieve aumento di questo tipo d’investimenti fra gli over 55, la cui quota è passata dal 22% al 25%, e tra le donne (dal 27% al 28%).
Nonostante i numeri ridotti, le considerazioni etiche e l’impatto potenziale giocano comunque un ruolo significativo nelle decisioni. Per circa il 70% dei potenziali investitori ESG, infatti, è centrale il desiderio che le propri scelte d’investimento riflettano convinzioni etiche personali. Ne deriva che i risparmiatori italiani sembrano più propensi ad avviare un dialogo sul tema con il proprio consulente rispetto alla media europea (51% contro il 39%), mentre un terzo dichiara di aver avuto una conversazione a riguardo su iniziativa del proprio advisor (27% contro il 35% in Europa). In totale, quasi quatto su cinque (il 79%) ne hanno parlato con il proprio consulente (in linea con il 74% europeo), percentuale che sale all’83% nella fascia compresa fra i 35 e i 54 anni e all’87% tra i giovani maggiori di 18 e minori di 34 anni.
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Tra il dire e il fare, insomma, la strada è ancora lunga e Bertrand Penverne, responsabile ESG di AXA IM Select, individua due ostacoli principali: una generale mancanza di comprensione della semantica e la difficoltà per i piccoli investitori di capire gli obiettivi dei fondi o di essere pienamente consapevoli di ciò in cui stanno investendo. “Una comunicazione più semplice e chiara sull’investimento responsabile in generale e sui fondi ESG dovrebbe aiutare tutti gli investitori a essere più consapevoli e a fare scelte di investimento più efficaci”, osserva.
Quanto alla situazione italiana, Pietro Martorella, co-head of Client Group di Axa Im Core, evidenzia come gli investitori identifichino sempre più l’importanza degli investimenti orientati ai principi ESG, indipendentemente dal riconoscimento del termine specifico, e come sia quindi responsabilità del settore finanziario offrire soluzioni adeguate alle loro esigenze. “Tuttavia, guardando ai risultati della survey, non possiamo negare la complessità del concetto d’investimento responsabile e delle sue applicazioni. Questa indagine può essere considerata come un appello ai policymaker e al settore finanziario per una maggiore semplicità, comparabilità e interoperabilità, in modo che i non addetti ai lavori possano comprendere la semantica e i concetti e fare scelte di investimento informate”, afferma.
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Tornando ai dati, in cima alla lista dei settori ‘inaccettabili’ per gli investitori italiani ci sono la produzione di armi (69%) e la deforestazione (68%), mentre l’industria altamente inquinante è tra i primi tre comparti da escludere per gli intervistati di età compresa fra i 18 e i 54 anni e gli HNW. Nel complesso, rispetto al 2021, i risparmiatori del nostro Paese sono meno propensi ad accettare all’interno di un fondo ESG i settori che rientrano nella cosiddetta ‘zona grigia’ da un punto di vista etico. Tra questi i ‘produttori di armi che non vendono prodotti a organizzazioni moralmente discutibili’ (29% contro 34% del 2021), o ‘società petrolifere o minerarie che investono in tecnologie rinnovabili da adottare in futuro per ridurre le emissioni di CO2’ (55% contro 63%).
Per quanto riguarda invece l’accettabilità, il 72% dei rispondenti acconsentirebbe all’inclusione di una società farmaceutica che investe nello sviluppo di un vaccino contro le malattie globali. I più giovani, infine, sono maggiormente disposti ad accettare l’inclusione di produttori di armi in un fondo ESG: il 38% del campione si dichiara infatti d’accordo o molto d’accordo nell’includerli in portafoglio purché non vendano prodotti a organizzazioni moralmente discutibili.
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