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Il futuro della consulenza? Si giocherà nel rapporto umano con il cliente. Lo rileva un sondaggio condotto da FocusRisparmio tra i professionisti del settore, che non temono la concorrenza dei robo advisor
Più empatia con il cliente, maggiore attenzione nella gestione dell’emotività e soprattutto formazione. Secondo un sondaggio condotto da FocusRisparmio in occasione dell’Efpa Italia Meeting 2019, sono le armi che permetteranno al consulente finanziario di essere competitivo sul mercato, contrastando al tempo stesso l’avanzata dei robo-advisor.
Sì, perché il professionista del futuro non teme le nuove piattaforme digitali. Anzi, crede nelle competenze personali e soprattutto nella brand reputation, che può essere aumentata anche grazie alle certificazioni.
Il sondaggio targato FocusRisparmio è stato condotto tra oltre 300 consulenti, di cui il 77,4% abilitato all’offerta fuori sede, il 4,9% autonomi e il 17,7% bancari che esercitano attività di consulenza.
Le evidenze
Cosa serve per essere competitivi sul mercato? Soprattutto l’empatia con il cliente (82% dei rispondenti), ma anche una gestione oculata dell’emotività (58,5%), e la capacità di fare educazione finanziaria (54,9%).
Meno importante, invece, la conoscenza dei mercati e dei prodotti (conta solo per il 48,7%), mentre il supporto di strumenti digitali all’avanguardia è gradito appena al 21,9 per cento.
Un dato che in un certo senso contrasta con la percezione che i consulenti stessi hanno della disintermediazione e della diffusione delle nuove applicazioni dedicate a risparmio e investimenti. Il 62,7% dei rispondenti al sondaggio, infatti, non vede una minaccia in queste piattaforme e crede in un futuro collaborativo tra l’uomo e la tecnologia.
Tra MiFID II e formazione
La direttiva europea di secondo livello, che entrerà nel vivo proprio quest’anno quando saranno inviate ai clienti le prime e nuove rendicontazioni, oltre a incentivare una maggiore trasparenza, soprattutto in tema di costi, ha enfatizzato anche il ruolo chiave delle competenze nella figura del consulente, introducendo l’obbligo di formazione continua.
Una scelta giudicata importante dal 70,3% dei rispondenti al sondaggio. Ma c’è una piccola percentuale (l’8%) che considera l’attuale offerta formativa inadeguata, priva di qualità e quantità, e poco professionale.
Un dato che, anche se basso per ora, deve far riflettere. Anche perché, secondo il 94,4% degli intervistati, la reputazione personale e professionale gioca un ruolo essenziale nel rapporto con il cliente.
La certificazione
Ma cosa serve per aumentare la brand reputation e avere successo con il cliente? Una delle armi vincenti è la certificazione. Ne è convinto l’86,3% dei rispondenti al sondaggio. Percentuale che coincide con i consulenti che vantano almeno una certificazione (per il 76,1% è una certificazione Efpa, tra Eip, Efa e Efp). E di quel 13,7% che ancora non ha una certificazione, più della metà ha dichiarato che ne conseguirà una.
Passaggio generazionale e gender diversity
Ci sono poi altri due dati che balzano agli occhi, che derivano non dalle risposte al sondaggio, ma dallo spaccato dei partecipanti. Il primo riguarda la presenza di consulenti donna, con la quota rosa della categoria che è ferma appena al 15,7 per cento. L’altro, invece, riguarda l’età, con la maggior parte dei consulenti (il 71,9%) che si colloca nella fascia 45-64 anni.
I giovani sono ancora pochi: il 17% ha tra i 35 e i 44 anni, mentre solo il 3,6% si colloca nella fascia 25-34. Segno di una categoria professionale che deve essere svecchiata. E qui tocca a reti e mandanti fare la loro parte.