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Sono le anticipazioni delle dinamiche macro e dell’impatto sulle varie asset class a guidare quest’anno le scelte degli investitori, non più così concentrati sull’inflazione. Il Cio parla dell’importanza della gestione attiva e dell’inversione del portafoglio 60-40
Nel 2023 si cambia musica, e a tenere svegli gli investitori non saranno più i timori sull’inflazione ma quelli della crescita. “Se nel 2022 gli occhi erano puntati sull’inflazione e sull’azione delle banche centrali, adesso gli occhi saranno puntati su utili e crescita”, sottolinea Olivier de Berranger, Cio della Sgr francese La Financière de l’Echiquier. E sarà proprio l’anticipazione delle dinamiche economiche e gli impatti sulle varie asset class a guidare l’azione degli investitori. A livello macro, nel corso dell’anno ci si aspetta uno slancio debole e un ciclo “non esaltante, ma nemmeno brutto come si pensava”, anche perché il settore privato è in forma nettamente migliore rispetto a com’era prima della crisi del 2008. La società vede per fine anno una crescita dello 0,7% per gli Stati Uniti e una contrazione frazionale (-0,1%) per l’Eurozona.

Olivier de Berranger, Cio La Financière de l’Echiquier
I mercati, spiega de Berranger, “stanno iniziando l’anno in uno scenario di tipo goldilocks: l’inflazione sta scendendo, i prezzi dell’energia si stanno stabilizzando in Europa grazie alle buone condizioni climatiche, le banche centrali iniziano ad ammettere che la loro missione terminerà nei prossimi mesi o trimestri e, infine, la crescita economica non è così negativa come si temeva”. Per l’esperto di Lfde la forza dei mercati azionari sia è un tantino esagerata ed è lecito attendersi una piccola correzione, ma la società mantiene comunque una prospettiva positiva sul primo trimestre.
Negli Usa, dove la produttività del lavoro sta crollando, Lfde prevede un aumento dei rischi per utili e margini. In Europa, che più di altre aree sta scontando le conseguenze del conflitto in Ucraina, con pesanti ripercussioni sulla fiducia sia dei consumatori sia delle industrie, è comunque in corso una stabilizzazione rispetto alle prime fasi del conflitto. E anche se c’è qualche “collo di bottiglia” nel mercato del lavoro, la situazione su questo fronte è comunque migliore che negli Stati Uniti. “Se arrivasse un armistizio, sarebbe molto bello investire in Europa e in particolare sull’Eurozona”, dice de Berranger, secondo cui il Vecchio Continente resta comunque il posto migliore in cui investire per chi è basato nell’Ue.
L’inflazione certamente non scomparirà da un giorno all’altro, ma “il peggio è senz’altro alle nostre spalle”, dice il Cio della società francese, secondo cui il picco è stato raggiunto nel 2022. Le dinamiche restano senz’altro diverse, e sono quindi da monitorare. Se in Europa, infatti, il rialzo dei prezzi è legato soprattutto all’energia, negli Usa segue in particolare le dinamiche dei salari, e vede infatti una discesa dei rincari sui beni ma non su quelli dei servizi. In questo quadro, le politiche monetarie resteranno restrittive un po’ ovunque. In Europa si apre una stagione del “whatever it takes” sui tassi, anche se oggi a Francoforte non ci si preoccupa più solo dell’inflazione ma anche della crescita, e quindi nel corso dell’anno un certo realismo potrebbe frenare la corsa dei tassi; e anche la Fed procede a tutta birra ma sarà difficile continuare sugli stessi ritmi con un’economia non pienamente in forma; l’area con maggiori potenziali per una politica monetaria accomodante è la Cina, alle prese con una situazione molto difficile sui mercati.
Se il 2022 è stato un anno in cui non c’erano posti sicuri in cui rifugiarsi sui mercati, il 2023 apre delle opportunità. I mercati obbligazionari sono i più interessanti, visto che indipendentemente dal posizionamento specifico i rischi sono debitamente remunerati. Ma anche i mercati azionari, dopo le correzioni del 2022, non sono da trascurare, e anzi che i ribassi hanno aperto opportunità per comprare e posizionarsi – anche per il retail – con un’ottica di lungo periodo. “Un importante studio ha evidenziato che ogni volta che ci sono state pesanti correzioni sull’equity, era difficile prevedere le performance a un anno ma in tre o cinque anni le performance erano sempre positive.
A livello di portafoglio, de Berranger parla comunque di una sorta di inversione del classico portafoglio 60-40 (cioè 60% di azioni e 40% di obbligazioni), un modello che nel 2022, con la fiammata dell’inflazione e la dura risposta delle banche centrali sui tassi, ha portato una flessione dei bond e un crollo dei mercati azionari. Un portafoglio con una componente maggioritaria di azionario espone eccessivamente alla volatilità, mentre nel corporate credit si trovano opportunità di carry sopra il 4% senza assumere rischi eccessivi.
Questa inversione, secondo de Berranger, è una buona idea anche alla luce di quanto visto nelle prime battute del 2022. “Il portafoglio 40-60 sta andando molto bene quest’anno, con una performance di circa il 5%, con un livello di volatilità molto discreto dovuto alla costante diminuzione dello spread creditizio. Ci aspettiamo che questo portafoglio sia più resistente quando si concretizzerà la piccola correzione che ci aspettiamo. Riteniamo che il rapporto rischio/rendimento del mercato del credito sia molto interessante quest’anno”.
Resta importante il ruolo dello stock picking e della gestione attiva, che è una delle grandi sfide per l’industria dell’asset management quest’anno. “Il 2022 è stato un anno difficile in cui i portafogli gestiti attivamente hanno patito, ma per alcune ragioni specifiche, in particolare il fatto che i rialzi si siano concentrati su alcuni settori – per esempio i petroliferi – non investiti dagli stock picker come noi”, sottolinea de Berranger. “Ma nel lungo è questa la strategia vincente”.
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