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Il sell-off innescato settimana scorsa dai dati sul lavoro USA non si ferma. Sui mercati cresce il timore di una recessione e la sfiducia per l’IA come volano delle big tech. Ma, per gli esperti, si tratta di una reazione eccessiva. E i margini per essere ottimisti (anche sui tassi) ci sono
Lo spettro recessione evocato dai dati sul lavoro USA di venerdì non smette di terrorizzare le Borse. Dopo una seduta di forti ribassi, le maggiori piazze finanziarie del mondo hanno infatti aperto la settimana all’insegna di risultati ancora negativi. Una dinamica su cui ha inciso anche la pessima performance dei titoli tech, con l’intelligenza artificiale che per la prima volta da due anni pare perdere slancio. Intanto la Federale Reserve si dice pronta a “intervenire se l’economia dovesse deteriorarsi” e alimenta le speculazioni su un taglio dei tassi di interesse anticipato o più ampio di quanto previsto. Ecco cosa pensano i gestori.
Borse ancora giù. E l’Asia guida i ribassi
Il sell-panic ha innescato un’altra giornata di perdite a Wall Street, dove giganti del settore tecnologico non hanno smesso di subire i contraccolpi iniziati la scorsa settimana. Non a caso, a due ore dall’apertura, il Dow Jones perdeva il 2,8% mentre il Nasdaq lasciava sul terreno addirittura il 3,7%. La ragione di questa pesante retromarcia è stata ricondotta ai pessimi risultati trimestrali che quasi tutte le società del comparto hanno pubblicato. Ma se è vero che le delusioni di bilancio rispondono a ragioni diverse, un denominatore comune si può facilmente intravedere: l’intelligenza artificiale non sta dando i frutti sperati. Prova ne è la vicenda di Intel, che venerdì ha ceduto il 26% dopo aver comunicato una trimestrale sotto le attese e annunciato il taglio del 15% dell’organico. A guidare i ribassi di inizio settimana è stata però Tokyo, dove l’indice Nikkei ha perso il 12,4% e si è reso protagonista del peggior risultato dal 1987 mentre lo yen toccava il massimo da sei mesi. Male anche il resto dell’Asia, con il Kospi sudcoreano che si è ridotto del 9% e risultati simili sia in Cina che ad Hong Kong. In rosso pure l’Europa, con il Ftse Mib che ritracciava di oltre il 2% a un’ora dalla fine degli scambi.
Disoccupazione e non solo: cosa spaventa i mercati
A preoccupare gli investitori di mezzo mondo sono soprattutto gli ultimi dati macroeconomici. Le rilevazioni ufficiali sull’occupazione degli States della scorsa settimana hanno infatti mostrato che il tasso di disoccupazione è aumentato dal 4,1% al 4,3% a luglio e che il mercato locale ha aggiunto 114mila posti di lavoro, un numero non solo nettamente inferiore ai 179 mila di giugno ma anche significativamente più basso dei 185 mila attesi. Secondo Filippo Diodovich, senior Market Strategist di IG Italia, si tratta di numeri che suggeriscono come Jerome Powell e colleghi abbiano probabilmente “aspettato troppo” prima di modificare le proprie strategie monetarie. Tanto che ora, precisa l’esperto, “gli investitori incominciano a scontare i rischi di un forte rallentamento dell’economia USA e di una possibile recessione per il 2025”.
Ma dalla Fed arrivano segnali positivi. E anche dai servizi
A cercare di gettare acqua sul fuoco è intervenuta direttamente la Fed. Austan Goolsbee, presidente della sezione di Chicago della banca centrale americana, si è infatti espresso ai microfoni della Cnbc con queste parole: “Se l’economia americana dovesse deteriorarsi, siamo pronti a intervenire”. Per Goolsbee, i dati sull’occupazione “non indicano ancora una recessione” ma è chiaro che l’istituto deve “prestare attenzione alla debolezza del mercato del lavoro”. Non avrebbe senso, dal suo punto di vista, “mantenere una politica restrittiva se l’economia si stesse indebolendo”. Parole che gli investitori dovrebbe interpretare con positività, specie se associate al dato sui servizi pubblicato il 5 agosto: l’indice dei direttori d’acquisto (Pmi) di Ism ha infatti registrato un livello di 51,4, sopra la soglia di 50 che separa una fase di espansione da una di contrazione dell’attività economica ben più di quanto si attendessero gli economisti (51).
Tassi e Pil: la view dei gestori
Secondo Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, la turbolenza sui mercati (specie sui titoli tecnologici) potrebbe essere stata esasperata da diversi fattori: in primis, la vendita di azioni di Apple per un valore di 50 miliardi di dollari da parte di Berkshire Hathaway. “Alla luce di questi sviluppi”, spiega l’esperto, “l’aspettativa per un taglio dei tassi a settembre da parte della Fed si è alzata dal 25% al 50%”. Eppure, è sua opinione che la reazione cui stiamo assistendo sia sproporzionata: “Gli investitori si stanno creando attese sovradimensionate rispetto a un paio di datapoint ma altri indicatori suggeriscono una tenuta piuttosto solida dell’economia”. Da qui, l’idea che la Fed possa continuare nel suo percorso in quanto l’esigenza di intervenire non poi così pressante.
Jean-Louis Nakamura, responsabile Conviction Equities Boutique di Vontobel, crede invece che nel lungo periodo gli sviluppi degli ultimi giorni costringeranno effettivamente Powell ad abbandonare il suo attendismo mentre l’andamento dei tassi di interesse a lungo termine fornisce già una sponda all’entità di un crollo economico negli States. “Se il calo dei prezzi degli asset rischiosi dovesse prolungarsi in modo significativo”, spiega, “non si può escludere un taglio di emergenza da parte della banca centrale”. E aggiunge che il rimbalzo delle azioni in questa ipotesi potrebbe essere altrettanto drastico quanto il recente sell-off, con i settori e i mercati più sostenuti dai driver secolari e/o dalla sensibilità ai tassi d’interesse che progrediranno più rapidamente. Tecnologia, IA, Stati Uniti, Taiwan, India i segmenti su cui focalizzarsi, nella sua prospettiva.
Ottimisti si dimostra anche di Álvaro Sanmartín, capo economista di Amchor IS. “Continuiamo a pensare che lo scenario chiaramente più probabile, sia per gli USA che per l’economia globale, sia quello di atterraggio morbido e progressiva disinflazione”. Secondo la sua lettura, il dato sulla disoccupazione di venerdì negli Stati Uniti è stato sì debole ma anche perchè influenzato da eventi meteorologici avversi che lasciano margine per aspettarsi numeri di agosto “nettamente migliori” e quindi in grado di rassicurare le piazze finanziarie. Non solo. “L’insieme di informazioni macroeconomiche che sono state rilasciate negli USA nelle ultime settimane”, spiega, “indica molto più una moderazione della crescita che una recessione”. Tanto che, dopo un secondo trimestre di forte crescita (2,8% annualizzato), le previsioni a breve termine sono ora compatibili con tassi di espansione di circa il 2% nel corso del terzo trimestre.
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