USA, mercato del lavoro solido: addio a un altro maxi taglio Fed
Il Job report di settembre supera le attese e allontana lo spettro recessione. Ora gli analisti si aspettano due tagli da 25 punti base entro fine anno. “Occhio alla duration”
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Ennesimo record negativo per Evergrande. Lo sviluppatore immobiliare cinese più indebitato al mondo, che dal 2021 tiene i mercati sulle spine, è tornato agli scambi alla borsa Hong Kong dopo 17 mesi di sospensione ma ha archiviato la seduta con un pesantissimo crollo: -78,79%. Ultimo atto di una più generale crisi del real estate nazionale che, nel giro di pochi mesi, ha riportato il Paese in testa ai sorvegliati speciali dei mercati per il timore di una nuova bomba sull’economia globale. Tanto che Pechino, dopo aver ammorbidito alcune restrizioni ipotecarie, ha cercato di arginare la fuga di capitali dimezzando la tassa sulle transazioni di titoli e annunciando misure per rallentare il ritmo delle Ipo. Eppure, complice anche la chiusura in rialzo delle piazze asiatiche, restano tanti gli investitori convinti che non si tratti di una nuova Lehman Brothers e la situazione sia ancora arginabile.
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Evergrande, già andata in insolvenza nel 2021 e con debiti per oltre 300 miliardi di dollari, dieci giorni fa ha presentato negli Usa istanza di fallimento e chiesto la protezione dai creditori. Con il ritorno agli scambi ha ora bruciato circa 2,2 miliardi di capitalizzazione (590 milioni di dollari il valore attuale, contro il picco di oltre 50 miliardi toccato nel 2017) ma ha compiuto un altro passo cruciale sulla strada della ristrutturazione del suo debito offshore. Lo sviluppatore ha spiegato di aver “rispettato le linee guida per il ritorno” sul mercato, compresa la pubblicazione dei risultati. La quotazione del titolo, infatti, era stata interrotta il 21 marzo dello scorso anno perché non erano stati diffusi i numeri del 2021. Il mese scorso ha visto la pubblicazione dei bilanci 2021 e 2022 ed è quindi arrivato il via libera alla ripresa delle contrattazioni. Contestualmente la società ha anche annunciato di aver chiuso il primo semestre con una perdita di 4,2 miliardi di euro, un dato in miglioramento rispetto al rosso di 8,5 miliardi di euro messo a segno un anno prima.
Non solo. Il gruppo ha poi rinviato di un mese, al 26 settembre, gli incontri con i creditori per consentire loro di “considerare, comprendere e valutare” il progetto di ristrutturazione. Il piano offre una serie di opzioni per scambiare il debito con nuove obbligazioni e strumenti equity-linked aventi come sottostante titoli dell’azienda stessa e delle controllate quotate a Hong Kong: Evergrande Property Services Group ed Evergrande New Energy Vehicle Group. Per il via libera serve l’ok di oltre il 75% dei detentori di ciascuna classe di debito.
Le paure per Evergrande sono solo la punta di un iceberg che comprende, oltre alle preoccupazioni per l’intero settore immobiliare, anche quelle relative alla salute dell’economia e del sistema finanziario del Paese. Per questo Pechino ha annunciato nel weekend nuove misure di stimolo con l’obiettivo di rendere più appetibile il mercato nazionale e arginare la fuga degli investitori. Il ministero delle Finanze ha infatti dimezzato l’imposta di bollo sulle negoziazioni in azioni per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2008, riducendola dallo 0,1% allo 0,05%. Una mossa che ha dato subito gas agli indici cinesi ma che gli analisti considerano di breve durata. Inoltre la Consob cinese, senza fornire dettagli, ha annunciato azioni per rallentare il ritmo delle Ipo e imposto restrizioni ai rifinanziamenti per le quotate.
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La debolezza del comparto real estate, la contrazione dell’economia reale, i mancati pagamenti dei fondi fiduciari e lo stress finanziario hanno portato molti a parlare di “momento Lehman” per la Cina, paventando una crisi finanziaria. La tesi non sembra però convincere la maggioranza degli operatori, secondo i quali la situazione è ancora gestitile nonostante la possibilità di errori politici. Ne è convinto anche Ben Bennett, head of investment strategy and research di Lgim, a detta del quale i livelli di capitalizzazione delle banche sono buoni (il rapporto prestito/deposito è circa dell’80%) e le autorità hanno gioco facile nel dirigere i flussi di capitali. “Ecco perché riteniamo che la situazione sia ancora molto distante da quella che innescò la crisi del 2008 e il fallimento del noto istituto statunitense”, è la sintesi dell’esperto. Che aggiunge: “Inoltre, anche il livello minimo delle riserve è alto se comparato a quello di altre grandi potenze economiche (10% contro 5%) e questo garantisce buoni margini di manovra”.
Per quanto riguarda i prezzi degli asset, molti investitori sperano ancora in uno stimolo economico che risollevi i mercati cinesi, probabilmente rincuorati dal recente taglio dei tassi d’interesse. Ma Bennett ritiene che un intervento massiccio del governo centrale non avverrà se non in caso di grave emergenza o prima che si siano tenuti tre eventi cruciali: la National Financial Work Conference prevista per settembre, la Terza Sessione Plenaria e il meeting del Politburo, entrambi previsti ad ottobre. “Tuttavia, anche a seguito di questi, riteniamo che la guerra contro le disparità di reddito e il fatto che questa sia uno dei punti principali della lotta contro la speculazione immobiliare impedirà ai prezzi delle attività di andare incontro a rialzi considerevoli. Probabilmente, gli stimoli economici finora sono stati modesti anche per questo motivo”, precisa.
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L’esperto di Lgim si dice convinto che le condizioni di stress attuali segnino la fine di un periodo di forte crescita del Dragone, con l’economia che inizia a risentire di squilibri presenti in realtà da molto tempo. Una situazione non dissimile da quella osservata in Giappone e Corea del Sud nei primi anni Novanta. “Questo non significa che il quadro sia totalmente negativo o che lo scoppio di una bolla porti per forza a una crisi finanziaria ed è proprio il Giappone che ce lo ha insegnato”, chiarisce. Precisando che, se Tokyo è riuscita a evitare una crisi, Pechino ha ancora più possibilità: può infatti fare affidamento su un sistema bancario interamente in mano allo Stato e sulla continua crescita delle imprese attive nella produzione di veicoli e beni elettronici.
Indubbio resta il fatto che il Dragone stia affrontando una transizione tutt’altro che facile. “Dopo un lungo periodo di sovrainvestimenti, in particolare in ambito abitativo, è probabile che la crescita si attesterà attorno alla metà di quella osservata nei 15 anni prima della pandemia e su questo punto le somiglianze con il Giappone sono innegabili”, prosegue Bennett. Ma, per l’esperto, si tratta di un passaggio a un modello di crescita inferiore che, seppur doloroso, appare gestibile. “Pertanto, riteniamo ancora prematuri e fuori luogo i paragoni con la crisi finanziaria degli Stati Uniti nel 2008, che poi è ciò che gli investitori temono realmente”, conclude.
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