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Tre quarti delle aziende hanno bisogno di queste tecnologie per raggiungere il net zero, ma sono frenate dai costi. Secondo lo studio Capgemini sono necessarie politiche pubbliche. E intanto i grandi investitori si stanno muovendo
Le tecnologie in grado di rispondere ai cambiamenti climatici sono sempre più nel mirino degli investitori. Sono infatti cruciali per aiutare le aziende a ridurre le emissioni e arrivare al net zero, tanto che tre quarti dei dirigenti sostengono che senza tale apporto non sarebbero in grado di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Per questo le imprese prevedono, in media, di aumentare gli investimenti del 7,7% nei prossimi due anni. Solo che ad oggi si tratta ancora di cifre molto basse rispetto al fatturato annuo. Lo rivela l’ultimo report del Capgemini Research Institute, “Climate tech: harnessing the power of technology for a sustainable future”, secondo cui a colmare una parte di questo divario d’investimenti ci stanno pensando i fondi di venture capital e le istituzioni finanziarie, destinati a svolgere un ruolo fondamentale.
Lo studio ha sondato 1.350 dirigenti senior di grandi aziende di diversi settori e 500 grandi società di venture capital e di servizi finanziari in tredici Paesi, tra cui l’Italia, evidenziando come le aspettative per il contributo della tecnologia climatica alla decarbonizzazione siano elevate.
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Climate tech, per le aziende sono decisive per la decarbonizzazione
La crescita delle principali tecnologie climatiche, tra cui le energie rinnovabili e i veicoli elettrici, ha infatti contribuito ad accelerare gli obiettivi di decarbonizzazione in tutto il mondo. Altre, come l’idrogeno a basse emissioni di CO2, la cattura del carbonio e i carburanti alternativi, stanno diventando accessibili e, se utilizzate su larga scala, potrebbero aiutare le aziende a raggiungere i loro target di sostenibilità. Secondo il report, i dirigenti prevedono che le climate tech contribuiranno in media al 37% degli obiettivi di decarbonizzazione o net zero della loro azienda. E il 65% è pronto ad aumentare gli investimenti nei prossimi due anni. Un chiaro esempio di questa tendenza sono le imprese siderurgiche: nel settore, due terzi degli operatori considerano prioritari l’idrogeno a basse emissioni e la cattura del carbonio. A muovere tutti i dirigenti sono soprattutto la consapevolezza dell’aggravarsi della crisi climatica, l’inasprimento delle normative e la crescente maturità dei queste tecnologie.
Ma il green premium è un grande ostacolo
Il problema è relativo al costo. Quasi otto dirigenti su dieci (77%) ritengono infatti che i costi dei loro prodotti saliranno a causa degli investimenti nelle tecnologie climatiche. L’aumento può essere attribuito a una serie di fattori come maggiori costi di ricerca e sviluppo, capitale e operazioni, nonché adattamento dei processi produttivi. Stando allo studio, il green premium accettabile per le aziende sarebbe di circa il 9%. Attualmente, però, per diversi prodotti ecologici è in generale molto più alto. Ad esempio, si stima che il costo del cemento a basse emissioni prodotto utilizzando la cattura del carbonio sia superiore del 75-140% rispetto a quello convenzionale. E che il carburante per l’aviazione sostenibile costi il 123% in più di quello convenzionale. Ne deriva che le climate tech non sono al momento in grado di contribuire alla realizzazione di prodotti e servizi più puliti in modo economicamente vantaggioso.
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I progressi non mancano
Per alcune tecnologie climatiche, però, l’adozione sta crescendo rapidamente. Si tratta di quelle in cui i green premium sono diminuiti in modo significativo, come il solare fotovoltaico e i veicoli elettrici, ma anche di alcune per le quali restano elevati: dalla cattura del carbonio al cemento, dall’idrogeno verde per l’acciaio al Saf per l’aviazione. I dirigenti di questi settori prevedono che l’adozione della relativa tecnologia si diffonderà rapidamente: in tre anni per i veicoli elettrici e per il Saf, entro quattro per il solare fotovoltaico e due per la cattura del carbonio nell’industria del cemento.
Secondo Gianluca Vastola, technology & innovation head di Capgemini Engineering in Italia, il mondo è agli albori di una ‘rivoluzione industriale pulita’. Il sostegno pubblico e i finanziamenti privati hanno dato il via all’onda di investimenti verdi, ma l’accelerazione della diffusione di queste soluzioni a suo parare richiederà ulteriori investimenti e una forte innovazione dei modelli di business. “È necessario sostenere gli investimenti con strategie mirate, poiché non ci si può aspettare che le imprese o i consumatori gestiscano in autonomia gli ingenti ‘green premium’. Le politiche pubbliche devono quindi creare almeno condizioni di parità se non di beneficio e sostenere adeguatamente l’aumento di scala”, avverte. Ricordando, ad esempio, che la straordinaria crescita nell’adozione dei veicoli elettrici ha molto a che fare con i sussidi pubblici, gli incentivi allo sviluppo dei veicoli e della rete e le regolamentazioni locali. Per questo, a suo parere, sarà necessario un maggiore intervento da parte dei governi.
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Venture capital, gestori e banche pronti ad investire
Dalla ricerca emerge infatti un grade divario. Nel 2023 l’investimento medio annuo in iniziative e pratiche di sostenibilità ambientale nei vari settori ha rappresentato solo lo 0,92% del fatturato totale, percentuale invariata rispetto al 2022. In termini assoluti, spiega il report, significa che gli attuali investimenti delle duemila maggiori aziende a livello globale rappresentano complessivamente meno di 500 miliardi di dollari all’anno. Una piccola parte dei 1.800 miliardi di dollari di investimenti globali stimati per l’energia pulita nel 2023. E una quota ancora più piccola rispetto ai 4.500 miliardi di dollari all’anno necessari entro il 2030 affinché il settore energetico raggiunga le emissioni zero per il 2050, come stimato dall’Aie.
I fondi di venture capital e le istituzioni finanziarie stanno già colmando una parte del divario e dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale. Il report rileva infatti che il 37% dei primi prevede di aumentare gli investimenti nelle tecnologie climatiche nel 2023, percentuale che sale al 48% per il 2024 e al 56% per il 2025. Inoltre, quasi la metà (47%) delle società di gestione patrimoniale e delle banche incrementerà i finanziamenti al settore nel 2023, e quasi altrettante (46%) prevedono di farlo nel 2024, con un aumento al 53% nel 2025. Questo aumento si concentrerà sui veicoli elettrici (per il 55%), sui software di decarbonizzazione (45%), sui biocarburanti (36%) e sul nucleare (33%).
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