Per Tom Lemaigre di Janus Henderson, i tassi hanno imboccato la strada giusta e i dazi non sono un problema ma un’occasione. Dalle big cap ai settori strategici fino allo stile misto, i segreti del fondo Pan European
Tom Lemaigre, gestore del fondo Pan European di Janus Henderson Investors
La vittoria di Donald Trump nella corsa per la Casa Bianca ha spostato l’attenzione degli investitori su Wall Street. Eppure, sottotraccia, c’è un altro mercato che promette di riservare sorprese positive per i portafogli avvezzi al capitale di rischio: quello delle azioni europee. Ne è convinto Tom Lemaigre, gestore del fondo Pan European di Janus Henderson Investors, secondo cui l’equity del Vecchio Continente rimane una fucina di opportunità anche al netto delle incertezze che circondano le prossime mosse della BCE. Il team di FocusRisparmio lo ha raggiunto per approfondire questa view.
Gli investitori scontano un nuovo taglio dei tassi a dicembre. Se così fosse, quale impatto vede per il mercato?
Mentre grandi incognite di mercato come le elezioni europee e quelle americane hanno alla fine trovato una risposta, per quanto non così attesa dagli investitori, la politica monetaria resta una materia criptica. Risulta infatti ancora difficile prevedere a quale livello arriverà il tasso terminale dell’Eurozona e il problema chiama in causa anche la miopia dimostrata dal mercato nel prevedere una dinamica di questo tipo: basti pensare che a inizio anno si stimavano molti più tagli di quelli effettivamente arrivati mentre a settembre le prospettive degli esperti sono state disattese all’opposto. Poiché per la prima volta la BCE ha anticipato la Fed nel tagliare il costo del denaro, dimostrando di aver imboccato in maniera decisa la strada dell’allentamento, credo però che il sentiero sia tracciato. E basterà tale consapevolezza a spingere l’azionario del Vecchio Continente di qui in avanti.
A spaventare dovrebbe essere invece l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti?
Anche se il mercato si è approcciato alle elezioni USA in modalità ‘wait and see’, i movimenti successivi all’annuncio della vittoria di Trump hanno dimostrato come gran parte degli investitori si aspettasse già da tempo questo esito. Del resto, anche stando ai sondaggi, i venti a suo favore erano diversi e soffiavano da più parti. Ciò che rileva ora è che l’incertezza politica si è diradata, facendo convergere l’attenzione su quello che conta davvero: il quadro macroeconomico. E la riprova viene dal recente rally di cui sono stati protagonisti i comparti più ciclici di Wall Street. Quanto all’Europa nello specifico, molti temono che il tycoon possa fare danni con il commercio e soffiare sul fuoco dell’inflazione tramite politiche all’insegna della spesa pubblica: la mia opinione è che una presidenza repubblicana non sia in realtà così negativa per il Vecchio Continente. È infatti vero che i dazi aumenteranno, ma molte delle azioni europee a grande capitalizzazione con cui ho a che fare e in cui investo non saranno impattate perché hanno catene di approvvigionamento perlopiù locali.
Crede che la crisi in Germania possa influenzare la crescita l’economia del blocco e quindi tassi di default?
La Germania ha di fronte a sè tante sfide, a partire da quelle di diversificare il proprio mix energetico e rendere più competitivi i costi del lavoro: basti pensare che un operaio Volkswagen guadagna quasi tre volte i suoi omologhi spagnoli o italiani. Si tratta di problemi non facili da superare e che potrebbero trascinare Berlino in una recessione, con un consequenziale aumento dei tassi di default quanto meno all’interno del Paese. L’Europa è però un continente vasto, con economie e industrie estremamente diverse oltre che diversamente reattive al contesto. Questo significa che, per quanto il quadro macro possa peggiorare, le opportunità ci saranno sempre: si tratta solo di saperle trovare. E, in questo caso, la chiave di volta è duplice: puntare sulle grandi aziende, che hanno i margini per “combattere”, o su quelle che sono sì quotate nel Vecchio Continente ma generano la maggior parte dei propri ricavi e profitti altrove. Se proprio bisogna porsi degli interrogativi circa l’effetto dell’economia su uno specifico settore, questi devono riguardare l’industria del credito, in quanto esposto verso le piccole e medie imprese: infatti, le prime a soffrire di shock economici improvvisi, nonchè soggetti più esposti a eventuali effetti domino, sono proprio le banche. Non a caso, siamo al momento posizionati su tre soli istituti: UniCredit, la britannica NatWest e BNP Paribas, player internazionale francese.
Che view ha invece sulla Francia e sui relativi titoli? Crede che la crisi del deficit possa portare a instabilità?
Più che il deficit, il problema della Francia è aver intrapreso riforme fiscali che rischiano di penalizzare eccessivamente uno dei settori privati più importanti del Vecchio Continente. Ciò mi porta a non avere una view rialzista, se non per i titoli di quei settori che potrebbero trarre beneficio dalla generale riduzione dei tassi: mi riferiscono in particolare all’edilizia e, di nuovo, a concessionari di grandi infrastrutture per il trasporto pubblico come Vinci. Se si osserva il nostro portafoglio, si può notare che i mercati emergenti asiatici sono in linea con il benchmark e si attestano al 35,5% mentre siamo sottopesati sull’Europa sviluppata. Uno spaccato che dice molto su dove si trovino le prospettive migliori: Nord America ma anche Canada e Messico.
Quali asset class privilegiare in questo contesto?
Esistono molti approcci per cavalcare questo scenario in chiave tattica. Il più ovvio prevede di focalizzarsi sui titoli del settore bancario, reduci da due anni all’insegna di un margine di interesse record e che resterà un buon mercato anche alla luce di un alleggerimento della politica monetaria da parte della BCE. Proprio una stagione di denaro a sconto dovrebbe poi aiutare le attività di lunga durata e quelle in concessione, come la gestione di porti e autostrade o altre infrastrutture di trasporto. Ecco perché abbiamo scelto di conservare la nostra posizione su Fancy e Cell Max, operatore spagnolo attivo nella settore delle torri per rete mobili. Non mancheranno di beneficiare poi del nuovo regime i produttori di beni destinati al largo consumo: molti individui avranno infatti più reddito disponibile da poter riversare sui mercati ora che i tassi sui mutui e gli altri costi di finanziamento sono in discesa.
Quali sono le geografie e i settori su cui l’investitore dovrebbe puntare nel panorama dell’azionario europeo?
In Nord America si registrano intensi sforzi delle istituzioni per rafforzare le infrastrutture strategiche o crearne di nuove. E a beneficiare di queste iniziative saranno soprattutto imprese europee come Holcim, che è quotata alla borsa svizzera ma rappresenta il più grande produttore di cemento degli Stati Uniti. Discorso analogo per il re-shoring della produzione manifatturiera, che accelererà ulteriormente sotto la presidenza Trump. Con gli investimenti in data center che toccheranno i 250 miliardi di dollari l’anno di qui al 2030 da parte delle Big Tech, neppure gli hyperscalers possono poi essere trascurati da chi vuole valorizzare l’equity del Vecchio Continente. Per una Nvidia che progetta la maggiore parte dei chip destinati a supportare sistemi di intelligenza artificiale, alle nostre latitudini ci sono infatti tante realtà che forniscono i componenti di questi dispositivi o li assemblano: mi riferiscono a SNL international, PE semiconductor e Atlas Copco. Senza dimenticare che le stesse Holcim e Schneider stanno lavorando su centinaia di progetti del genere con colossi come Amazon e Meta, alcuni dei quali proprio sulla sponda orientale dell’Atlantico. In ultimo, sempre ai settori citati, mi sento di indicare come altra geografia florida il Messico.
Com’è strutturato il vostro fondo Pan European Fund?
Sulla carta si tratta di un fondo che investe in azioni europee a grande capitalizzazione ma nella pratica è qualcosa di più articolato, perché punta su società globali che sono campioni assoluti nei loro rispettivi settori. Questo significa che, pur prestando attenzione ai prezzi dei titoli, non facciamo delle valutazioni convenienti il perno della nostra strategia. Siamo felici di pagare un po’ di più per SML o Schneider, ad esempio, perché rappresentano due realtà leader nei settori dei farmaci contro l’obesità e delle apparecchiature per centri dati. Il veicolo presenta poi uno stile misto, che permette di orientare il portafoglio un po’ alla crescita e un po’ al valore: l’idea è cioè quella modificare l’approccio volta per volta di modo da sfruttare questo e quel vento di coda, una soluzione ideale in una stagione dove il costo del capitale ha fatto la sua ricomparsa. In ultimo, è nostra prassi tenere svariati incontri con le aziende cui si è esposti durante l’anno per cercare di capire come si stanno muovendo e fornire a nostra volta indicazioni utili sulle possibilità di sviluppo del business.
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