Abe si dimette. Per il mercato la BoJ non cambierà strategia
Il premier lascia per motivi di salute. Su lo yen. Per gli analisti la banca centrale non rivedrà la politica monetaria, ma gli investitori potrebbero metterne in dubbio la sostenibilità
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Lo scorso 19 giugno il Nikkei ha raggiunto un +29,76% da inizio anno e l’azionario giapponese sembra stia attirando l’attenzione degli investitori. Anche Warren Buffett ha spostato parte del proprio ventaglio di investimenti sul Giappone, che è diventato nel portafoglio del guru, il maggior investimento fuori da Europa e America. Tuttavia, il PIL del Paese negli ultimi anni non è cresciuto in maniera considerevole perché il Giappone vive un problema demografico e di economia domestica importante. Giovanni Brambilla, Responsabile Investimenti di AcomeA Sgr vede però nell’azionario giapponese diverse un’opportunità, alla luce dei cambiamenti strutturali che stanno avvenendo nel Paese.
A livello di cambiamenti strutturali direi che la cosa che ha contribuito maggiormente al passaggio da un’economia a stampo socialista verso un’economia più capitalistica è stata sicuramente l’Abenomics (sincrasi di Abe ed economics, con riferimento alle politiche economiche dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, ndr). La sua politica ha portato ai cambiamenti strutturali di oggi: una politica fiscale più flessibile ed espansiva, un inflation targeting che ha portato ad una politica monetaria espansiva ed una serie di strategie economiche rivolte ad una maggiore crescita del Paese. Si è trattato anche di un cambio di attitudine sia del mondo politico giapponese che di quello imprenditoriale e manageriale. Il Paese è caratterizzato dalla presenza di molte imprese leader nel loro settore, come Sony per esempio, che beneficiano dell’indebolimento dello yen e del cambio debole per avere maggiore competitività a livello globale. Ci sono però due fattori su tutti che Abe ha cercato di affrontare, che sono il tasso di natalità e la legge sui migranti. Si tratta di un Paese che ha ancora un grosso deficit in ambito lavorativo, soprattutto in alcune categorie di lavoratori che non riescono a produrre internamente anche a causa dell’invecchiamento della popolazione. Un Paese, quindi, che dovrebbe importare forza lavoro ma non può farlo a causa della severità della legge sulla migrazione.
Certamente. Si tratta di variabili che impattano duramente sul tessuto economico. Di fatto abbiamo da una parte tutto l’insieme di aziende leader del proprio settore che guardano molto all’estero e che sfruttano la debolezza dello yen; dall’altra parte c’è tutta la parte dell’azionario legato all’economia più domestica che fa fatica, che è quello poi a portare l’economia giapponese a non avere uno sviluppo particolare. Non dimentichiamo, lato azionariato, che la borsa giapponese viene da trenta anni di mercato piatto. Dopo la correzione all’inizio degli anni Novanta, il mercato giapponese ha visto una crescita molto debole poiché ancora legato ai vecchi principi economici, senza più la spinta che ha avuto tra gli anni Settanta e i primi Novanta. Resta un paese, quindi, economicamente molto avanzato ma con una importante carenza di domanda, soprattutto interna.
Il percorso di efficientamento delle aziende è iniziato ma lo spazio di miglioramento è ancora ampio rispetto al mondo occidentale. Il Giappone sta cambiando, ma ha un background molto forte. Le tempistiche giapponesi, asiatiche in generale, sono molto più distribuite nel tempo e meno veloci di quelle occidentali. Ciò significa che questo percorso di efficientamento, iniziato circa cinque anni fa, ha ancora margini di miglioramento, soprattutto sui settori domestici. Oggi cominciamo anche a vedere ad esempio un atteggiamento nei confronti dell’azionista totalmente differente rispetto al passato. Inoltre, c’è da dire che più del 50% delle aziende quotate sul mercato giapponese ha una posizione debitoria negativa e sono net cash. Ciò significa che hanno cassa nei loro balance sheet che possono utilizzare per un efficientamento dal punto di vista finanziario. Un ultimo elemento da menzionare è la presenza sempre più diffusa di fondi attivisti: cioè, società che prendono partecipazioni significative all’interno di aziende interessanti, lato bilancio, prendendo posizione e facendo azionariato attivo allo scopo di estrarre valore per l’azionista dalle aziende.
Di fatto no, perché l’obbligazionario in Giappone non risulta interessante. I rendimenti oggi risentono di una situazione particolare: la BOJ controlla i rendimenti della curva che interviene costantemente con interventi di acquisto e vendita di titoli. Resta interessante l’azionario, specialmente su aziende votate all’export, ma forse ancor di più legate all’economia domestica visti i margini di miglioramento di cui abbiamo parlato e in ottica anche di un eventuale allentamento della legge migratoria.
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