Investimenti, gli italiani cercano sicurezza del capitale e consulenza
Secondo l’Osservatorio di CNP Vita Assicura, l’81% si rivolge a un advisor prima di sottoscrivere. Aumenta la progettualità. Polizze e fondi i prodotti preferiti
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Di mezza età, piuttosto legato al mercato domestico e affezionato come non mai ai bond. Ma anche attento alla sostenibilità, orientato a prodotti che prevedono programmazione e più attratto dall’offerta estera. È questo il profilo dell’investitore retail delineato dall’Osservatorio sui sottoscrittori di fondi comuni, la pubblicazione annuale con cui Assogestioni analizza il segmento a maggiore partecipazione retail nel panorama del risparmio gestito. E se la famiglia degli utilizzatori di questi strumenti si mantiene sostanzialmente stabile a quota 11,1 milioni, per un tasso di partecipazione del 18,8%, due sono le vere novità rispetto alla rilevazione precedente: il divario di genere è ormai un ricordo e anche i giovani iniziano a dire la loro.
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La dimensione e l’importanza del lungo lavoro di screening su cui si basa il report sono state restituite da Riccardo Morassut, Senior Research Analyst dell’Associazione. “La rappresentatività del campione analizzato è pari alla quasi totalità dei fondi detenuti dalle famiglie italiane, per un controvalore di 198 miliardi di euro”, ha spiegato Morassut mentre si apprestava a presentare i risultati dell’Osservatorio. “Computando anche i 347 miliardi di prodotti esteri”, ha quindi aggiunto, “il patrimonio monitorato arriva a toccare i 445 miliardi e a rappresentare l’81% dell’universo in esame”. Parole che fanno capire come, proprio nell’anno compie 40 anni, il mercato degli strumenti finanziari per i risparmiatori abbia raggiunto un valore di 556 miliardi di euro e sia il secondo più grande d’Europa dopo quello tedesco.
Considerando tutti gli 11,1 milioni di sottoscrittori di fondi comuni in Italia, calcolati sommando chi investe in prodotti domestici a chi sceglie quelli esteri a distribuzione concentrata o cross border, il valore medio generale dell’investimento si è attesta sui 49mila euro. Si tratta di un importo in crescita di 4mila euro rispetto al 2022 ma che varia sensibilmente scendendo nel dettaglio delle singole sottoclassi: è più basso per i sottoscrittori di fondi italiani (30mila euro), più alto per quelli di fondi stranieri (45mila) e in particolare con distribuzione orizzontale (55mila). Un divario che conferma quella targhettizzazione della clientela osservata già nelle edizioni precedenti: chi punta sul tricolore è un soggetto mass affluent attirato dalle grandi banche commerciali nazionali mentre chi guarda oltre confine ha un profilo mediamente più sofisticato (di tipo upper affluent private) e si rivolge a consulenti finanziari e reti di private banking.
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Se il dato medio è di 49mila euro, l’investimento mediano si posiziona invece in un intervallo compreso tra 13mila (per i prodotti italiani) e 21mila euro (per gli esteri). Questo gap, con il 25% più ricco che detiene quasi il 75% del patrimonio impiegato, è sì in linea con le recenti stime secondo cui l’80% della ricchezza finanziari si concentra nel 30% delle famiglie (Bankitalia), ma può essere letto anche in altra luce. “Metà del pubblico è in grado di accedere con cifre inferiori a 20mila euro”, afferma ad esempio Morassut. Mentre Alessandro Rota, direttore dell’Ufficio Studi di Assogestioni, sottolinea come lo strumento abbia anche natura formativa oltreché democratica: “L’investimento in fondi rappresenta di per sé un atto basilare di educazione finanziaria, che può aiutare a trasferire i valori della diversificazione e della programmazione dei risparmi”.
La dimensione più pop dei fondi comuni emerge anche dai risultati sulla modalità di sottoscrizione e dal relativo spaccato demografico, che confermano come questi strumenti non siano appannaggio esclusivo di chi possiede grandi patrimoni ma consentano a chiunque di attuare una gestione professionale dei risparmi. Se infatti la generazione dei Boomers (58-76 anni) continua a pesare il 41% sul totale, mantenendo l’età media nazionale del campione invariata a quota 61 anni, i risparmiatori della Generazione X (43-58 anni) aumentano la loro incidenza sul dato complessivo dal 28% al 29% mentre l’insieme gli under 40 (Millenials + Gen Z) guadagnano due punti e arrivano a cubare il 15%. Ancora rilevanti le fasce anagrafiche più avanzate, con gli ultra 78enni che rappresentano il 16% del campione.
Secondo Morassut, “la fotografia è positiva perché evidenzia come lo strumento fondo stia aiutando anche le nuove leve a entrare nel mondo del risparmio gestito”. Anche se, per l’analista, il risparmiatore tipo è maturo e non stupisce la sua età media: “Si tratta di un profilo che ha maggiori possibilità di investire perché possiede redditi più elevati”. Smentita, invece, teoria del life cycle investment in quanto gli importi medi maggiori si concentrano proprio tra i soggetti più anziani: 58mila euro per i Boomers, 66mila per la Silent Generation e addirittura 83mila per la Greatest. Una distribuzione che fa il paio con altri due dati: sempre ai Boomers è infatti riconducibile il 48% degli investimenti mentre Millenials e Gen Z si spartiscono meno di un terzo della torta (24% e 6%), con impegni medi rispettivamente di 21mila e 13mila euro.
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I giovani sono dunque sottorappresentati e investono anche meno, seppur con un miglioramento rispetto all’anno prima, ma lo fanno in modo decisamente più efficiente. Oltre ad avere una maggiore predisposizione all’apprendimento. La conferma viene dal dato sul grado di utilizzo dei piani di accumulo del capitale (PAC), strumenti sofisticati che impongono ottica di lungo periodo oltreché approccio costante e tanta disciplina: mentre nelle fasce di età più avanzate la loro diffusione non supera il 30% del campione (con un floor del 5% presso la Greatest generation e del 15% presso i boomers), Morassut nota come oltre la metà dei Millenials e quasi il 60% dei giovanissimi vi faccia ricorso. Un segnale che l’educazione finanziaria, sia pur nella forma del prodotto, sta raggiungendo il suo pubblico pontenziale. Ciò non toglie che il versamento unico (PIC) resti la forma prevalente, con il 62% dei risparmiatori a sceglierli contro il 21% dei PAC e il 17% dei misti.
Tocca invece il 47% la quota di sottoscrittori donne. E, sebbene sia vero che il restante 53% degli uomini detiene il 55% dell’importo complessivo e investe mediamente di più (51mila euro contro 47mila) il dato risulta più che positivo: “Negli ultimi 20 il gap si è ridotto dal 16% al 6% e crediamo che presto si raggiungerà una piena parità”, sottolinea Morassut. A differenziare il gentil sesso resta invece l’asset allocation: il portafoglio in rosa appare infatti mediamente più prudente, con una quota azionaria pari al 22% contro il 28% della controparte maschile e i fondi obbligazionari o di altri tipi che crescono di complessivi sei punti.
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Altri due aspetti indagati dall’Osservatorio riguardano alcuni cliché sugli investitori locali. Il 95% dei fondi italiani viene distribuito tramite gli sportelli bancari mente le reti di consulenti finanziari hanno un peso maggiore per i prodotti cross border, acquistati in questa modalità per il 48% e solo per il 52% tramite gli istituti. A livello di asset allocation, si evidenziano invece valori differenziati in base alla tipologia di strumenti: se tra i veicoli nostrani prevalgono la componente obbligazionaria (36%) e quella flessibile (34%), dalle quali le strategie bilanciate (19%) e azionarie (11%) si mantengono distanti, l’offerta estera vede un più ampio ricorso all’equity (50% nei cross-border) mentre resta stabile al 30% il peso dei bond e l’accoppiata flessibili-bilanciati non supera l’11%. Quanto alla dimensione geografica, il 32% di incidenza consegna ad Europa e America lo scettro di aree preferite. L’allocazione all’Italia pesa invece per il 16% del portafoglio generale, di cui il 13% in reddito fisso e il 3% in capitali di rischio. “Un 16% di home bias non è poco”, sottolinea Morassut, specie considerando che Borsa Italiana pesa lo 0,6% della capitalizzazione mondiale”.
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In aggiunta al quadro nazionale, è interessante notare le diverse specificità geografiche. A cominciare dal tasso di partecipazione, che indica la percentuale di sottoscrittori in rapporto alla popolazione residente (dati Istat): sulla base di questa grandezza, i dati delineano un Paese in cui il 64% dei sottoscrittori risiede al Nord. La regione con il tasso di partecipazione più alto è in particolare l’Emilia-Romagna, con il 29,3%, anche se Lombardia (27,1%) e Piemonte (26,6%) la seguono a stretto giro. Queste due aree, insieme alla Liguria, sono anche quelle in cui l’investimento medio è più alto: rispettivamente 55.212, 54.971 e 54.841 euro. Il Settentrione è infine primo anche per investimento complessivo: i clienti residenti in questa area detengono il 69% del totale, con il 43% al Nord-Ovest e il 26% al Nord-Est, mentre gli investitori del Sud detengono il 9% del portafoglio generale e quelli delle isole il 4%. Dal Lazio in giù non si supera un tasso di partecipazione al mercato dei fondi del 10%.
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